sabato 31 dicembre 2011

I miei film del 2011

Scatta il 31 dicembre e anche io cado nelle classifiche di fine anno.
Ecco quindi i film che mi sono piaciuti di più in questo anno cinematografico. Ho visto e recuperato tanti bei film ma mi limito a quelli usciti quest'anno.

Sul primo non ho dubbi gli altri diciamo che li metto a pari merito.

Drive

Midnight in Paris
Il cigno nero
Pina
Le idi di marzo
Carnage
Il discorso del re
Habemus Papam
L'alba del pianeta della scimmie
Super 8
127 ore
La pelle che abito

Queste sono le 2 principali delusioni di quest'anno, insomma quei film che mi sarebbero dovuti piacere invece no:

This must be the place
A Dangerous Method

Questi sono i film che mi sarebbero potuti piacere se li avessi visti...magari li recupero il prossimo anno:

Melancholia
Faust
The tree of life
Warrior

giovedì 29 dicembre 2011

Le idi di marzo di George Clooney


Le idi di marzo è un film sulla politica e sulle sue ipocrisie. Un film cinico sui giochi di potere e sulla carriera dove i buoni non esistono. Un gioco dove il fine che giustifica sempre i mezzi, senza mezze misure. Il film di Clooney è un film scritto e recitato sul filo del rasoio, mai fuori posto eppure così potente. Non ha bisogno d'inseguimenti, piogge purificatrici o uomini con la barba lunga. A questo film sono sufficienti attori straordinari che recitano uomini e donne, non personaggi: oltre a George Clooney e Ryan Gosling ci sono Philip Seymour Hoffmann, Paul Giammatti, Marisa Tomei ed Evan Rachel Wood.
Ci sono alcune scene in questo film che ci dimostrano che George Clooney senza troppi vezzi e fronzoli riesce a fare grandi film anche dietro la macchina da presa. In uno dei punti di svolta del film, tutto il dialogo è lasciato fuori campo e a noi resta solo una macchina ferma e un lento zoom in avanti. C'è molto in quell'inquadratura. Sappiamo o immaginiamo di sapere quello che succede all'interno della macchina ma non ci è svelato apertamente. E' un po' tutta qui la politica. Un teatro che sembra giocato a carte scoperte ma che in realtà nei momenti decisivi si sottrae dai riflettori dei quali continuamente si nutre.
Una politica, quella americana in questo caso, che vive di luci ma che si nutre di ombre come quelle che inghiottono Ryan Gosling alla fine del film. Entra nell'ombra e ne esce per arrivare sotto l'ennesimo riflettore, questa volta tutto per lui e non una luce riflessa come quella dell'incipit del film.
Le idi di marzo è come si direbbe un film di struttura, dove la sceneggiatura, la fotografia e la regia sono un tutt'uno con la storia. Niente va mai sopra le righe e qui sta il cinema d'autore di Clooney, nulla viene gridato. Un gran bel film, d'altri tempi si potrebbe dire ma in fondo i tempi sono questi, sempre i nostri. Un tempo storico dove ai presidenti e ai politici si perdona tutto tranne il sesso, certo non da noi.

mercoledì 28 dicembre 2011

The Artist di Michel Hazanavicius


Devo ammettere che sono andato al cinema a vedere The Artist con una tutta una serie di pregiudizi e dubbi. Non ero convinto, e non lo sono ancora, dell'idea di fare un film muto al giorno d'oggi. Non sono un fautore della tecnologia a tutti i costi ma il cinema è tecnica e in quanto tale è giusto fare avanguardia utilizzando tale tecnica e non sottraendone.
Fatta questa premessa devo ammettere che The Artist è un bel film che riesce a riproporre l'estetica del cinema muto, i suoi attori e le sue colonne sonore centrando in pieno il suo obiettivo. La storia narra delle alterne fortune di due divi hollywoodiani che hanno la loro fortuna e la loro sfortuna con l'avvento del sonoro. Non c'è che dire un periodo magico e anche molto doloroso per tutti gli attori che non ce l'hanno fatta a superare l'ostacolo della parola. Sono diversi i momenti del film in cui la parola e la sua assenza sono al centro di incubi, gag e momenti drammatici.
Il film di Hazanavicius riesce a intrattenere lo spettatore senza annoiare. C'è da dire che il regista è riuscito a fare un film per il pubblico e non per l'elite cinefila. The Artist è un film godibile e furbo, una storia d'amore e cinema che seduce anche il pubblico contemporaneo. Anche io ne sono stato catturato e, come ogni volta che vedo un film muto, alla fine dimentico che il sonoro e i dialoghi sono assenti. Chissà se alla notte degli Oscar non ci siano sorprese quest'anno, tutto sembra andare in quella direzione.
Un ultimo dubbio. Se si doveva fare un film muto al giorno d'oggi perché si è scelto di riprodurre fedelmente l'estetica e le dinamiche dei film del passato? Non sarebbe stato bello sperimentare in qualche modo l'assenza del sonoro?

martedì 20 dicembre 2011

Provaci ancora Dexter


Ingenuamente ho sempre pensato che Dexter sarebbe andato avanti sempre con la stessa qualità nella scrittura. Mi sbagliavo, perché la stagione appena conclusa e' veramente deludente e discretamente noiosa.
In passato quando avevo parlato qui e qui di Dexter avevo sempre sottolineato il suo essere una serie forte perché aveva una sceneggiatura solida, una costruzione psicologica del protagonista notevole e sopratutto c'era quella linea di sangue che univa le puntate della singola stagione e le singole stagioni tra loro. Era ovvio che qualcosa dovesse cambiare e già con la scorsa stagione c'era il sentore, in parte recuperato anche grazie ad un buon personaggio come quello di Lumen (Julia Stiles). Non era ovvio pero' che la serie arrivasse a toccare il fondo così velocemente.
La stagione appena conclusa ha una trama verticale veramente banale e scontata, la linea di sangue si e' persa per lasciare il posto ad un "originalissimo" tema religioso. Parlare di religione e Dexter ci può stare ma in questi termini anche no.
Le storie parallele a quella di Dexter sono troppe e confuse, sembra diventata una soap. E' interessante la sottotrama poco approfondita dello stagista collezionista e chissà che non diventi la storia della prossima stagione. Il personaggio di Dexter e' decisamente peggiorato nella sua psicologia sempre più spicciola e poco interessante. E poi Deb...beh lasciamo perdere.
Insomma tutto lascia a desiderare e il pensiero di abbandonare una serie che sarebbe dovuta già finire la scorsa stagione e' forte. Pero' qualcosa si salva: l'ultimo minuto dell'ultima puntata, quei pochi secondi che mi convincono a vedere anche la successiva, almeno ci proverò.

domenica 4 dicembre 2011

Midnight in Paris di Woody Allen ---- Recensione

Midnight in Paris può avere i suoi difetti e può non piacere a tutti. Si può cercare di leggere nel film la storia del cinema e la poetica alleniana ma per me questo film è stato cinema di puro abbandono e Woody Allen è riuscito a regalarmi (ci) un film bello e letteralmente incantevole. Se ti scopri alla fine del film con un sorrisetto soddisfatto, compiaciuto e rilassato il film ha fatto il suo effetto.

Un film ci fa vedere Parigi e il suo fascino ma ci parla anche dei sogni. L'idea alla  base del film è un gioco che tutti abbiamo fatto almeno una volta nella vita cioè in quale periodo del passato vorremmo aver vissuto. Il protagonista del film sceglie la Parigi degli anni 20 e la trova a mezzanotte in tutto il suo splendore, con i suoi personaggi (Hemingway, Dalì, Picasso, Gertrude Stein, ecc) tutti volutamente sopra le righe come se fossero realmente materia del sogno, eppure tutti così presenti e reali.

Il protagonista trova il suo sogno dopo mezzanotte e trova in un certo senso se stesso e la sua strada. Capisce che la sua nostalgia del passato è solo il motore per vivere meglio il proprio presente, unico tempo che secondo Allen vale la pena di essere vissuto anche se può apparire più noioso. Allen quindi secondo me non è critico nei confronti della nostalgia ma la ricolloca, trasformandola in un carburante che muove la nostra vita.

Quest'ultimo film di Woody Allen mi è piaciuto tanto e mi ha fatto ridere e sognare. Un film magico insomma, uno di quei film che con leggerezza ci raccontano tante cose e ci fanno dimenticare di essere seduti su una poltrona a vedere un film. E poi pensare di vivere anche solo una notte con i surrealisti mi ha fatto sognare.

giovedì 24 novembre 2011

Pezzi di film

L'illusionista
Il declino di un artista come tanti altri in un mondo dove l'illusione non ha più fascino forse perché ci viviamo dentro. Un film che dipinge la storia ed emoziona. Un racconto leggero ed elegante. Dal creatore di Appuntamento a Belleville e ispirato ad un personaggio di Jacques Tati che appare anche in una scena del film.

Bronson
Un pugno in faccia, un pugno nello stomaco, tanti calci e una piuma che ti fa il solletico. Questo e' Bronson. Film di Nicolas Winding Refn che rende teatrale la storia del carcerato più pericolo del Regno Unito. Un bravissimo Tom Hardy c'intrattiene con la violenza di un personaggio in bilico tra arte e pazzia. Questo regista, colpevolmente scoperto con Drive, continua a stupirmi.

Monsters
Un piccolo film da gustare. C'e' molto District 9 e poco del sopravvalutato Cloverfield. Non c'e' la camera a mano e ci sono dialoghi non sempre stupidi. Gli alieni ci sono ma non sempre si fanno vedere. Due facce nuove che recitano, i confini del Messico a fare da cornice e un finale insolitamente romantico.

Chloe
Atom Egoyan ci mostra di nuovo il suo lato morboso. Un film non proprio bello e troppo patinato per i miei gusti. Ha il pregio di rendere l'aria asfissiante ma c'e' qualcosa che non va. Troppo autocompiaciuto? Eccessivamente voyeuristico? Brava Julianne Moore.

martedì 8 novembre 2011

This must be the place di Paolo Sorrentino


Un film deludente quello di Sorrentino. Sarà che le aspettative erano alte e forse quando se ne hanno troppe si rimane puntualmente delusi. Non riesco a concretizzare con precisione tutti i miei dubbi sul film ma parafrasando una citazione del film, qualcosa mi ha disturbato e non capisco cosa.
Paolo Sorrentino è un regista che sa usare la macchina da presa e ne è consapevole. In tutti i suoi film i movimenti di camera fanno danzare le scene e le immagini. In quest'ultimo film però tutto appare gratuito, come un puro esercizio di stile. Rimangono una serie di belle immagini, di belle sequenze ma la sostanza è a mio avviso veramente scarsa.
La storia raccontata poi non è un granché. Poteva essere più interessante con scelte di altro tipo ma inserire, a mio avviso in modo ruffiano, l'olocausto come filo conduttore non da forza al film ma al contrario lo indebolisce. Qual'è il vero senso del film? La ricerca di se stesso da parte del protagonista, non sembra perché alla fine a parte togliersi il trucco non succede molto di più. Il protagonista si libera dei suoi problemi irrisolti che si trascina in tutto il film? Probabile. Ma in fondo la sceneggiatura mi sembra una serie di quadri messi lì, uno di seguito all'altro con personaggi che appaiono e scompaiono senza lasciare una traccia reale. Una serie di belle storielle. Sui buchi di sceneggiatura rimando al post di Smeerch. I dialoghi sono in alcuni momenti divertenti, soprattutto grazie a Sean Penn, ma il film è troppo pieno di citazioni che sono la gioia di Twitter. Chissà se le battute/citazioni rientrano tutte nei 140 caratteri.
I bei quadri ovviamente non mancano come quando canta David Byrne. Bella scena, belle idee ma per un videoclip non per la scena di un film anche perché il tutto è slegato dal resto. Mi sono piaciuti dei momenti  surreali, anche questi slegati dal flusso narrativo: il passaggio all'indiano, Batman che cammina solitario nella notte, il mega gonfiabile a forma di birra e la macchina che va in autocombustione.
Nel complesso il film pur se visivamente molto bello non mi ha convinto. Mi è mancato il Sorrentino che ho apprezzato in altri film, la sua estetica unita ad una storia originale. Nel film non c'è il dramma de L'uomo in più, il gusto fuori dall'ordinario dell'Amico di famiglia, il mistero elettrico de Le Conseguenze dell'Amore e il morboso e anonimo potere de Il Divo. Se questo è il Sorrentino internazionale spero ritorni presto in patria.

sabato 5 novembre 2011

Meglio tardi che mai: Habemus Papam di Nanni Moretti


Non sono un fan di Moretti. Lo apprezzo in alcuni film ma non accetto in pieno la sua filmografia a volte ripetitiva e un po' autoreferenziale. Habemus Papam, il suo ultimo film uscito qualche tempo fa al cinema è invece un film che mi è piaciuto parecchio. Il film è stato molto chiacchierato perché parla del Papa e della religione cattolica ma come ovviamente si può immaginare, le critiche e i pregiudizi sono pienamente infondati.
Nanni Moretti costruisce un film equilibrato dove la commedia si alterna al film d'introspezione senza esagerare. Un film sul dubbio, sulla ricerca della propria personalità. Il film racconta la crisi di un Papa neoeletto che ha dei dubbi e non vuole diventare Papa, senza capirne neanche lui il perché. Un dilemma comune, sembra, quello dei giorni nostri. Ci si trova di fronte a dei bivi, delle decisioni e delle responsabilità e non sa si bene come reagire, non si sa come affrontare certe scelte. Molto spesso si reagisce scappando, si reagisce con un rifiuto che porta ad una ricerca interiore per capire le ragione di tale rifiuto. Se questo succede ad un Papa appena eletto, ecco che la storia prende subito una piega interessante.
Va proprio detto che Moretti ha avuto una bella idea e l'ha saputa controllare bene, dosando tutti gli elementi presenti in campo. Ci mostra l'interno del Conclave e ci fa vedere i cardinali che pregano per non essere scelti dal Signore. Nessuno si sente pronto e all'altezza perché in fondo parliamo di uomini, di esseri umani con sentimenti e debolezze. Forse questo aspetto può aver infastidito la Chiesa, mostrare degli uomini di chiesa con le loro fragilità e i loro dubbi.
Spero che non siano stati infastiditi dal divertente mondiale di Pallavolo organizzato dallo psicanalista Nanni Moretti, e neanche dalla bella scena dove i cardinali ammazzano il tempo con piccoli vizi nelle loro stanze.
Un film da vedere anche per la bella interpretazione di Michel Piccoli e questa volta da consigliare anche chi morettiano non lo è e non lo è mai stato. Merita anche per un finale decisamente amaro ma ricco di verità.

giovedì 27 ottobre 2011

Drive di Nicolas Winding Refn

Una scena del film
Il film racconta di un ragazzo che guida auto durante le rapine e su set cinematografici come stuntman. Il protagonista fa dei passi falsi che disturberanno i boss della zona e metteranno in pericolo la sua vita e quella delle persone a cui tiene. Una storia non originale ma raccontata con eleganza e con un punto di vista originale, intenso ed emozionante.

L'incipit del film e' bellissimo. Il protagonista si accorda per fare da autista durante una rapina. La rapina si svolge con qualche prevedibile imprevisto e lui impassibile e freddo svolge il suo lavoro fino in fondo come da accordi presi. La velocità delle auto s'intreccia con le strade notturne della città, i dettagli si mescolano alle riprese aeree. Una perfetta sintonia tra movimento e dettaglio. Un incipit che e' la giusta presentazione del film, delle scelte narrative che vedremo e dell'atmosfera che si respirera' durante la visione.

Un'altra scena in Drive mi ha colpito per la sua capacita' di sintesi. Nel loro primo incontro la protagonista femminile chiede al protagonista cosa fa nella vita e lui risponde che guida, poi dopo una pausa lei chiede se e' pericoloso e lui risponde di si. In questo breve ma intenso dialogo si raccontano molte cose sul protagonista e su quello che rappresenta. Un uomo che guida e non fa niente altro, un uomo a cui non e' permesso altro nella vita, un uomo che a suo modo diventa eroe anche perché lui semplicemente guida.

Queste due scene raccontano molto del film e del personaggio principale, il resto del film non fa altro che confermarcelo con cura nelle inquadrature, nella composizione dell'immagine e un affascinante uso della luce. In molte scene infatti la luce diventa astratta e sottolinea alcuni momenti importanti come la scena dell'ascensore e in tutta la parte finale. La luce disegna le scene, le rende vive e racconta la storia.

Oltre alle scene gia' citate ce ne sono altre da evidenziare, la scena dell'ascensore e la scena del night club. Nell'ascensore c'e' una vera e propria danza, una danza di luce, corpi, amore e violenza. All'opposto c'e' invece la fissita' della scena del night club, fissi sono i corpi delle ballerine nude con lo sguardo perso nel vuoto, fissa la posa di Ryan Gosling con il martello in mano inquadrato dal basso verso l'alto.

Un film che mi e' piaciuto molto con un ottimo cast e una bella colonna sonora. Ryan Gosling e' veramente una rivelazione. Era la prima volta che lo vedevo recitare e non mi aspettavo una cosi' bella performance. Anche tutti i personaggi di supporto sono bravi compresa Carey Mulligan la ragazza triste della porta accanto che fa bene la sua parte.





lunedì 17 ottobre 2011

American Life di Sam Mendes

Finalmente sono riuscito a vedere questo film di un paio di anni fa e devo dire che le mie aspettative erano all'altezza del film: American Life mi e' piaciuto molto. Ho trovato il film divertente, brillante, intelligente nel racconto, sobrio e con due protagonisti credibili e simpatici. Devo ammettere che in questo caso c'e' stata molta immedesimazione nei protagonisti coetanei, che hanno problematiche e dubbi che mi appartegono e per questo il loro viaggio mi ha emozionato. Uno di quei film che magari non passeranno alla storia ma che rimangono impressi, come rimangono impressi Burt e Verona, cosi' insicuri, cosi' indecisi ma innamorati e amanti della vita.

La storia e' quella di una coppia che aspetta un bambino che va alla ricerca della loro casa. La casa in questo racconto non e' un luogo fisico ma un luogo emozionale, di crescita, il fondamento della loro vita come famiglia. In questo loro percorso incontreranno diverse coppie, diversi modi di vivere la famiglia e l'essere genitori. La galleria di personaggi alterna il divertente, le macchiette lasciando spazio anche alla riflessione. Alla fine i due futuri genitori sceglieranno la loro strada e quella che e' soltanto loro come e' giusto che sia.

E' un film leggero e profondo. Un film dove la regia e' sobria e non invadente, dove i dialoghi sono misurati eppure decisi e puntuali. La scena delle promesse sul tappeto elastico, una sorta di matrimonio virtuale, e' bellissima per quello che i due si dicono e per quello che puo' significare per una coppia. In fondo una relazione, un matrimonio, una convivenza funziona anche se c'e' il giusto scambio di promesse esplicite e implicite e se le scelte sono quelle della coppia e non degli altri.

La scena delle "promesse"

C'e' da ricordare che il regista e' un certo Sam Mendes che ci ha regalato film come American Beauty e Revolutionary Road. Ma qui abbandona la sua tagliente visione della famiglia per portarci probabilmente piu' vicini alle emozioni famigliari di Era mio padre, ovviamente con toni da commedia.

Una piccola nota sul titolo originale Away we go, decisamente piu' in linea con il racconto, con lo spirito e con le emozioni del film.

venerdì 14 ottobre 2011

La pelle che abito di Pedro Almodóvar

Una scena del film
La pelle che abita e' l'ultimo film di Pedro Almodóvar, un film teoricamente di genere, un thriller che segue l'altro strano thriller del regista, Gli abbracci spezzati. E' un film che rivisita il mito di Frankenstein ma che con Almodóvar prende tutta un'altra piega.

Il film e' girato con molta eleganza, il regista non lascia al caso nessuna inquadratura e nessun movimento di camera. E' un film che avvolge e seduce. Almodóvar pero' non va mai sopra le righe e nonostante in alcuni momenti possa sembrare un film di Cronenberg, rimane sempre il film di un autore che ha dato nuova vita al melo'. Il regista non e' per le scene ricche di tensione e di claustrofobia anche se a volte si respira un'aria morbosa che potrebbe a mio avviso essere anche piu' spinta.

Il film e' decisamente superiore a Gli abbracci spezzati che non mi aveva convinto del tutto per la sua storia un po' confusa. Sembra pero' che quel film sia stata la palestra per il regista per creare La pelle che abito. L'impressione e' che con il precedente film il regista abbia sperimentato alcune idee meglio concretizzate in quest'ultima pellicola. 

Il corpo, la pelle come identita' e come inganno, la vendetta e l'amore folle sono le tematiche principali del film, illustrate da Almodóvar attraverso citazioni artistiche, come le bellissime sculture di Louise Bourgeois o i quadri che adornano la bellissima casa del protagonista.

La pelle che abito, nonostante le apparenze, e' un film di Almodóvar perche' ritroviamo qui tutte le sue tematiche e nonostante l'eleganza della messa in scena e della regia ci ricorda in diversi momenti che e' sempre il regista spagnolo che si e' fatto conoscere con i suoi film piu' folli. Il personaggio dell'uomo tigre, alcune battute e in parte il finale lo fanno venire allo scoperto.

Nel complesso e' bel film, godibile, con una bellissima Elena Anaya e un Antonio Banderas mai fuori le righe, un thriller nella storia ma ma non nel ritmo. Per il mio gusto personale, in un film del genere manca un po' di gelida cattiveria.

Una scena del film


venerdì 7 ottobre 2011

Fotografia - Festival Internazionale di Roma 2011

Il Fotografia Festival di quest'anno l'ho trovato deludente. Mi riferisco alla mostra principale che si tiene in questi giorni a Roma al Macro Testaccio. Negli ultimi anni a mio parere il Festival ha perso il suo smalto iniziale dove riusciva a proporre fotografi interessanti e progetti molto coerenti intorno al tema scelto. Tra le ultime edizioni forse la piu' interessante e' stata quella al PdE di un paio di anni fa dove si e' tentata la strada del multimediale. Interessante strutturalmente ma decisamente portatrice di fruibilita' distratta, cosa che non fa bene alla fotografia.
Sono ormai storia i tempi in cui esponevano i grandi Koudelka e Salgado e l'anno in cui ho scoperto Martin Parr. Dei bravi fotografi conosciuti gli scorsi anni in questa edizione rimangono in un angolo le belle foto di Anders Petersen, con le sue foto forti con un bellissimo bianco e nero.
Il Festival mi sembra che abbia poche idee, pochi spunti interessanti e poche belle fotografie. Colpa dei tagli che il festival ha subito? Colpa della mancanza d'ispirazione o e' semplicemente un segnale dello stato della fotografia?
Il sovraccarico di fotografie che subiamo tutti i giorni, la digitalizzazione dell'immagine hanno cambiato definitivamente la prospettiva con la quale guardiamo le foto. Uno dei pannelli della mostra, non ricordo chi era che lo diceva, sosteneva che e' finito il tempo dei fotografi alla Cartier Bresson, il tempo del "Momento decisivo". Secondo me in parte e' vero perche' il digitale ha rivoluzionato il concetto di attimo e d'istante in fotografia.
L'altro aspetto che sempre della fotografia mi ha deluso negli ultimi anni e' l'uso del colore. Sopratutto nella fotografia cosidetta artistica c'e' poca sperimentazione sul colore in favore dell'utilizzo del bianco e nero, sempre banalizzato e sempre troppo scelta ovvia e facile.
In questa edizione ovviamente non e' tutto da buttare ma ci sono dei fotografi che mi hanno colpito e a parte Alec Soth sono tutti orientali o medio-orientali. Le foto degli orientali vanno al di la' del semplice istante ma scavano ed esprimono.
Comincia dall'unico "occidentale" che mi ha colpito oltre alla conferma di Petersen.

Alec Soth  
Sono interessanti e affascinanti i suoi ritratti. Mi sono piaciuti i suoi colori, il suo citazionismo e il gusto per la composizione. Uno sguardo interessante.  


Lieko Shiga
Quello che ho preferito. Sperimenta con l'immagine e va oltre il visibile, trasmette sensazioni. Va oltre il semplice scatto e la fotografia diventa contemporanea, realmente digitale e immaginaria. Quando la fotografia non puo' essere raccontata. Le sue atmosfere ricordano David Lynch. A questo link potete vedere i suoi lavori e perché no, magari comprare una sua opera.


Mayumi Hosokura
Straniante e surreale. Le sue immagini sono immaginarie e sospese...eppure reali.


Asako Narahashi
Mi e' piaciuto per il suo punto di vista originale. Foto a pelo d'acqua


Rinko Kawauchi
Lui anche sperimenta con la fotografia e con la luce, rendendo eterea e immateriale l'immagine.


Rania Matar
Classica ma interessante perche' ci mostra un mondo che conosciamo ancora troppo poco, quello arabo. Lo fa con classicita' ma con una bella e originale composizione dell'immagine.


mercoledì 5 ottobre 2011

A Dangerous Method di David Cronenberg


L'ultimo film di David Cronenberg l'ho trovato deludente, non perché sia un brutto film ma perché l'ho trovo un debole film del regista. Cronenberg mi ha sempre abituato a film dove l'intensità della storia, dei temi e del trattamento erano ad alti livelli mentre qui ho trovato un biopic a tratti didascalico che non aggiunge molto alla storia già nota di Jung e Freud.

Mi ha deluso perché in fondo Cronenberg ha sempre parlato di queste tematiche nei suoi film, con metafore e racconti estremi da mozzare il fiato come in Crash, aveva parlato anche della malattia mentale con Spider e lì era riuscito a creare un film asfissiante e angosciante. Questo film, invece, nonostante le forti tematiche non va oltre il racconto delle vite dei protagonisti, con una regia abbastanza sottotono e non ricorda neanche lontanamente la gelida freddezza e crudeltà di A History of Violence e de La promessa dell'assassino. 

La storia è quello della passione di Jung per Sabrina Spielrein, la prima paziente con la quale il famoso psicologo utilizza le tecniche della psicanalisi, la cura delle parole. Il film ci racconta anche il rapporto maestro discepolo tra Jung e Freud, la loro iniziale sintonia e la loro rottura. 

Il film alterna gli affascinanti incontri/scontri tra Jung e Sabrina e gli scambi epistolari e di persona tra Jung e Freud. Jung passa dal ruolo di medico a quello inconsapevole di paziente, continuamente alla ricerca di se stesso in tutto il film. Mentre Freud e la sua autorità vacillano raramente nel corso della storia e mentre la paziente Sabrina trova se stessa e la sua libertà, Jung è quello più debole fino ad arrivare all'esaurimento nervoso. Un personaggio complesso che è ovviamente il cuore film, anche grazie alla bella interpretazione di Michael Fassbender


mercoledì 28 settembre 2011

Quell'oscuro oggetto del desiderio di Luis Buñuel

Un ricco borghese che a quanto sembra non ha bisogno di lavorare s'innamora di una ragazza molto più giovane di lui e nasce un'ossessione alimentata dal fatto che la giovane ragazza si nega sessualmente all'uomo. Tutta la storia ha sullo sfondo continui attacchi terroristici e bombe che esplodono.
Quell'oscuro oggetto del desiderio è l'ultimo film di Buñuel è un film che non ha bisogno del nonsense eccessivo e ostentato per sottolineare la sua anima surrealista ma sono sufficienti una forte critica alla borghesia e alcuni elementi estranei e stranianti per creare probabilmente l'ultimo film surrealista mai girato. Alcune scene sono magnificamente surrealiste, come la mosca nel bicchiere, il topo nella trappola, il sacco che si porta dietro il protagonista, la donna che cuce in vetrina un merletto insanguinato.
L'aspetto più intrigante del film è l'uso di una doppia attrice che interpreta la protagonista femminile. Conchita, la ragazza di cui s'innamora il ricco borghese, è infatti interpretata da due attrici bellissime e agli opposti sia per stile di recitazione che per aspetto fisico. Angela Molina e Carol Bouquet sono i due corpi che senza soluzione di continuità si alternano sullo schermo. Inizialmente lo spettatore viene spiazzato perché le due si alternano senza preavviso e senza capire apparentemente il perché. Poi l'occhio si abitua alle due espressioni del personaggio e resti affascinato dalle scene dove le ragazze si alternano. Se non è surrealismo questo.
Il film, poi, è antiborghese perché ci mostra un ricco uomo, interpretato alla perfezione da un elegantissimo Fernando Rey, che ha tutto nella vita, non ha necessità di lavorare ma non riesce ad avere il corpo e la verginità della bella e giovane Conchita. Nasce in lui un senso di frustrazione e ossessione che solitamente è estranea all'uomo borghese. Chi non ha nulla è frustato dal possedere qualcosa che non può avere, mentre questo solitamente al borghese non accade mai. Ecco che Buñuel ci mostra che forse qualcosa anche ai borghesi è negato, un corpo che non desidera vendersi per puro gioco o pura convenienza, ma che comunque non cede.

Carol Bouquet e Angela Molina le due attrici che interpretano la protagonista

venerdì 23 settembre 2011

L'alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt


Il pianeta delle scimmie, l'originale del 1968 è forse uno dei film più affascinanti della mia infanzia e adolescenza. Ad ogni passaggio televisivo non potevo far a meno di vederlo e di arrivare a quel finale così inatteso e così sorprendente. Non c'era bisogno di sofisticati effetti speciali per rendere più reali del reale le scimmie, era sufficiente il fascino della storia e quello che non raccontava.
L'alba del pianeta delle scimmie è il prequel di quella storia e nonostante le aspettative potevano essere diverse devo ammettere che l'ho trovato un bel film che utilizza le citazione dell'originale con discrezione. Partendo dal presupposto che probabilmente i prequel, che tanto piacciono a Hollywood in questo periodo, quasi mai sono necessari, considero questo film di Rupert Wyatt un film a parte e capostipite di una nuova saga ripartendo da queste origini, com'è successo anche con il Batman di Christopher Nolan.
Il film racconta come un esperimento di laboratorio che doveva trovare la cura all'Alzheimer diventi un'arma nella mani delle scimmie per sovvertire l'ordine degli umani. È un film sulla rivoluzione, su come l'evoluzione inevitabilmente porta alla ribellione. Un'evoluzione culturale però, non tecnologica. L'intelligenza, la cultura e la parola sono la forza di queste scimmie che si ribellano agli essere umani che li sottomettono e li sfruttano. Il film ci parla di una rivoluzione che nasce da un capo, da un elemento che si assume la responsabilità di guidare gli altri e per questo viene riconosciuto, rispettato e protetto. Un blockbuster che come accade ogni tanto ci racconta molto di più di quello che sembra.
Gli effetti visivi non necessitano di commenti, le scimmie sono reali e in alcuni scene la regia timidamente ci regala delle ottime sequenze sopratutto nella foresta delle sequoie, nelle gabbie delle scimmie e quando crea una suggestiva pioggia di foglie.
In conclusione una domanda che mi sono fatto più volte durante la visione: Perché sto dalla parte delle scimmie?



lunedì 19 settembre 2011

Carnage di Roman Polanksi


Roman Polanski e' bravo non c'e' niente da dire, me lo dimentico sempre ma poi alla fine se faccio un bilancio dei suoi film visti mi rendo conto che sono quasi tutti film notevoli e ricchi di spunti interessanti. La sua ultima opera, Carnage, non fa che confermare questa mia idea.
La storia e' semplice. Due coppie di genitori si ritrovano in un appartamento per discutere di un litigio tra i due figli. Uno dei due "armato" di bastone ha colpito l'altro "sfigurandolo". Da questo iniziale argomento di confronto ne nasceranno tanti altri che contrappongono non solo le due coppie di genitori, ma anche i due uomini, le due donne e tutti contro tutti...un gioco al massacro insomma.
Le parole tra virgolette non sono un caso perche' Carnage oltre ad essere un film di attori, con impianto teatrale, ma dove il cinema seppur sottile si vede eccome, e' un film di dialoghi, di parole, di presunti malintesi. Un film di scontro sul territorio della parola che diventa anche un po' fisico a tratti.
Gli attori sono pienamente all'altezza della situazione e riescono a creare uno scontro di civilita' in piena regola, esplodendo a turno e danno la loro prova di recitazione con efficacia. Christoph Waltz scoperto da Tarantino in Bastardi senza gloria e' sublime nelle sue modo di porsi, di parlare e di muoversi sulla scena. Jodie Foster e' fastidiosamente odiosa e isterica. Kate Winslet affascinante e remissiva all'inzio per sfogarsi in un finale in crescendo. John C. Reilly, l'eterno coprotagonista, e' all'altezza dei suoi colleghi e completa a perfezionare il quadro.
La regia di Polanski si vede nel movimento degli attori sulla scena, nei loro gesti controllati, misurati e mai gratuiti. Di Polanski c'e' molto altro in questo film, c'e' il suo discorso su vittime e carnefici (come nel bellissimo La Morte e la Fanciulla) c'e' il luogo d'azione chiuso e claustrofobico (Rosemary's Baby ma anche l'ultimo L'uomo nell'ombra) e c'e' quella sua acidita' e quel suo gusto tagliente di creare discussione e scontro, di mettere in discussione l'ovvio e il socialmente accettato fino a creare in alcuni casi paranoie reali o presunte.
Un aspetto interessante del film e' inoltre la struttura. Si apre e si chiude allo stesso modo, in esterni con protagonisti i ragazzini e la musica mentre tutta la parte centrale e' ambientata nell'appartamento. E' come se tutto il mondo adulto si svolgesse li' in un eterno scontro e confronto, l'aspetto curioso infatti e' che nel film non ci viene mostrato quando le due coppie s'incontrano e quando si lasciano. Questo come a sottolineare l'eternita' del confronto, dello scontro e del massacro.

venerdì 16 settembre 2011

SUPER 8 di J.J. Abrams


Per la trama del film forse e' il caso di rimandare altrove dove sanno sintetizzare in modo efficace la storia. Andiamo invece dritti al punto e parliamo un po' in ordine sparso di un film che ti riporta agli anni 80 e non solo con la ricostruzione del film ma in generale con il sapore di un cinema che forse e' sparito e che fa parte della mia infanzia/adolescenza. Un film dove i protagonisti principali sono un gruppo di pre-adolescenti che ti fanno ritornare a quell'eta'.
Film perfetto per chi e' cresciuto con i Goonies, Stand By Me o E.T. Gli stessi che da adulti hanno ritrovato in parte negli adulti di Lost quella ricerca dell'ignoto. La ricerca del mistero, dell'avventura a tutti i costi, la speranza di trovare un galeone pieno d'oro sono tipiche di quell'eta'. Oggi non so se i ragazzini vivono le stesse cose oppure crescono piu' in fretta. Forse non e' piu' come prima se c'e' la necessita' di raccontare questa storia negli anni 80 e non ai giorni nostri.
Nonostante questo ritorno al passato il film non sa di antico, nostalgico probabilmente si, ma antico no di certo. Tutto e' nuovo ma tutto e' classico. I ragazzini in bicicletta, la pellicola del film sono un classico mentre l'alieno e le dinamiche che comporta sono moderni o comunque sempre presenti. Si cerca di ridurre l'Altro, lo straniero, l'alieno in schiavitu', si cerca di reprimerlo e l'intervento dell'esercito, come nella migliore tradizione americana, e' la raffigurazione del potere e della sua arroganza. Mentre dall'altro lato i ragazzini sono la faccia pulita, onesta e sincera della societa'. Questa sintesi aiuta sempre Hollywood a creare le sue storie e ci riescono quasi sempre bene sopratutto quando alla regia c'e' JJ Abrams e alla produzione c'e' Spielberg.
Nel film c'e' lo spirito infantile alla Spielberg che al cinema non guasta, in fondo il cinema di Hollywood funziona anche per questo, per il gusto della scoperta, della sorpresa e delle prime avventure. C'e' sono Incontri ravvicinati (lo sguardo del mostro alieno), c'e' E.T. (le biclette e l'empatia con l'alieno) ma c'e' anche Lost e c'e' anche Cloverfield sopratutto nell'introduzione del mostro. Ce' il sogno e l'aspirazione come quella di fare cinema dei ragazzini protagonisti che girano un film sugli zombie, probabilmente qui c'e' molto di autobiografico.
La regia di Abrams e' molto ben fatta, di gusto, con i suoi controluce, i primi piani pieni di speranza negli occhi dei bambini. Il disastro ferroviario, poi, e' stupefacente soprattutto se confrontato ai disaster o agli action movie. Un film di fantascienza dove gli effetti speciali non sono i padroni dello schermo ma lo sono la storia e le persone. Un racconto ben scritto e senza lungaggini, un cast di ragazzini perfetto dove spicca una sempre piu' interessante Elle Fanning
Super 8 in conclusione e' un bel film, da gustare al cinema, che secondo me dimostra che un altro cinema hollywodiano e di genere e' ancora possibile e per chi e' cresciuto anche con questo cinema e' consolante.
Un'ultima nota: da non perdere i titoli di coda, non scappate alla fine del film e godeteveli.

martedì 5 aprile 2011

Il cigno nero di Darren Aronofsky


Il cigno nero ha una trama molto semplice che ricalca in parte la storia del Lago dei cigni. Una storia di amore e tradimento che si trasforma in una storia di ossessione e paranoia. Il regista riesce con il suo trattamento visivo della storia a trasportarti nella spirale ossessiva di chi la storia la vive sul grande schermo.
Il tema del doppio e' centrale in questo Lago dei Cigni rivisto e corretto. Un tema a me molto caro che qui viene trattato con un impatto emotivo niente male ma non ha soluzioni narrativo/visivo originali. Molti degli elementi classici sono messi in campo: gli specchi, il bianco e il nero, il disegno, il sogno. Tutto gia' visto e' vero ma ben miscelato e inserito nella storia senza mai sembrare posticcio.


Molto interessante dal punto di vista del doppio e' la soluzione della telecamera che segue la protagonista da dietro, la inquadra dietro la nuca come se ci fosse una soggettiva altra, come se l'anima nera le fosse dietro alle spalle. L'anima nera narrata in questo modo e' presente anche in Elephant di Gus Van Sant dove nei lunghi corridoi della scuola la telecamera segue i protagonisti come una minaccia. Questa soluzione visiva secondo me e' molto efficace perche' crea inquietudine in chi guarda perche' evidenzia una minaccia incombente ma anche perche' e' come se la minaccia fosse gia' negli occhi dello spettatore.

Altri temi trattati nel film che si possono ricondurre al doppio sono la sessualita', ricorrente quando si parla di doppio, e in questo caso l'omosessualita': altro da me ma uguale a me. I riferimenti sessuali e le scene di sesso non sono gratuiti ma perfettamente inseriti nell'ossessione narrata nel film. Anche la danza diventa sessuale e si fa quasi orgasmo.
Tutto cio' aggiunge tensione ad un racconto duro che a tratti e' da brividi, quasi horror, un film visivamente non sempre semplice da digerire. Una tensione narrativa tenuta viva in tutto il film anche dalla splendida interpretazione di Natalie Portman, veramente straordinaria in questo film. La parte finale poi e' l'ideale climax di un film in crescendo, le ultime scene con le musiche di Tchaikovsky sono molto emozionanti e coinvolgenti. Tra l'altra va fatto notare che l'uso della musica di Tchaikovsky non e' mai furbo anzi viene usata pochissimo a livello narrativo.
Film notevole a mio parere che dimostra che Aronofsky e' un ottimo regista, visionario ma concreto che con questo film coniuga le follie visive e narrative di Requiem for a Dream con la durezza e la realta' di The Wrestler. Due film, tra l'altro, assolutamente da vedere.

lunedì 21 marzo 2011

L'uomo nell'ombra di Roman Polanski

L'uomo nell'ombra di Roman Polanski e' la storia di un improvvisato ghostwriter che si trova immischiato in una storia di crimini di guerra che coinvolgono un politico inglese di rilievo. Come spesso accade in molti thriller di questo tipo ci troviamo di fronte ad un uomo (Ewan McGregor) che si trova inconsapevolmente alle prese con i misterioso affari di un losco figuro (Pierce Brosnan) e cerca di fare il possibile per fare luce sul mistero e sopratutto uscire vivo dalla pericolosa situazione.

La trama semplice e lineare puo' sembrare la base di un film banale ma Polanski e gli attori in gioco ne fanno un film fatto molto bene e godibile. Un film dove si respira un'aria del cinema d'altri tempi, un cinema piu' classico dove l'intreccio e la suspense la fanno da padroni, senza eccessi e troppo fronzoli.


Il racconto fa capire immediatamente che c'e' qualcosa di strano nell'aria ma non si riesce a capire da cosa dipenda questa sensazione. La narrazione crea da subito un senso di disagio che ricorda le atmosfere di altri thriller di Polansku. Questo disagio e' accentuato dai toni freddi della fotografia e dal clima dell'ambientazione, un isola ventosa e fredda.

Il confronto cinematografico va direttamente ad Hitchcock che si respira in questo thriller vecchio stile. Non solo nelle atmosfere ma anche nei personaggi, sopratutto in quello di Ewan McGregor, un uomo incastratato in una storia che non gli appartiene ma che deve vivere e non subire. Gli attori sono tutti in piena forma e credibili nelle loro parti. Il finale poi puo' far sicuramente discutere.

mercoledì 9 marzo 2011

Radiohead: The Kings Of Limbs


E quando meno te lo aspetti arriva l'ultimo lavoro dei Radiohead. Ormai non sembra piu' corretto parlare di CD e di album perche' la musica e anche i Radiohead di quest'ultimo decennio si sono liquefatti in tante tracce che viaggiano ormai attraverso diversi canali.

Come le tracce liquefatte del nuovo download digitale dei Radiohead anche la loro musica sembra piu' liquida, meno materiale. Gli strumenti e le chitarre si disintegrano e la musica si smaterializza.
Abbiamo lasciato i Radiohead di In Rainbows con un album di canzoni che riusciva a fare una summa dei loro lavori piu' elettronici e di quelli piu' pop-rock, un album a suo modo robusto che e' cresciuto con gli ascolti.

Ora in The Kings of Limbs i Radiohead ripartono probabilmente da Kid A e dal lavoro solista di Thom Yorke The Eraser cercando una nuova fusione di stile e prendendo sempre di piu' la via della musica elettronica, anche se la loro musica diventa sempre meno etichettabile e loro sembrano giocarci. In The Kings of Limbs la musica e la voce di Yorke diventano suono e l'ascolto che comincia ossessivamente e si attenua lentamente fino ad arrivare ad un finale piu' soft. Il ritmo dell'ascolto non e' per nulla monotono e tutte le tracce secondo me suonano bene.

Un nuovo passo dei Radiohead, probabilmente non un passo in avanti come Kid A lo era stato dopo Ok Computer ma di certo un bel passo laterale che ci porta verso altri territori, piu' contemporanei e piu' immateriali. Non e' di certo una scoperta dei Radiohead questo tipo di sonorita' ma loro riescono a rendere pop questo tipo di elettronica e non nel senso di qualita' commerciale ma di accessibilita' e di diffusione.

Non e' semplice capire se e' un album che lasciera' il segno, aspettiamo di ascoltare anche tutte le altre tracce annunciate nei vari box ed edizioni speciali. Per ora e' un album godibile ma che non si lascia afferrare del tutto. Rimangono impressioni in superficie. In Rainbows era un po' il contrario un album d'impatto orecchiabile del quale si apprezzava la profondita' solo dopo diversi ascolti e anche ascoltando il lato B del disco. Anche qui saranno le diverse abitudini d'ascolto che lo renderanno diverso, forse quando durante una riproduzione casuale il flusso dell'ascolto subira' un cambiamento incontrero' un nuovo capolavoro. La traccia migliore al momento e' Feral.



giovedì 24 febbraio 2011

127 ore di Danny Boyle


127 ore e’ il tempo che il protagonista passa intrappolato nella cavita’ di un canyon. Il film racconta James Franco nei suoi tentativi di liberarsi, nei suoi tormenti interiori, tutto in bilico tra pazzia e visionarieta’.
Nonostante la storia si svolga in un spazio ristretto riesce ad essere dinamico e ricco d’invenzioni visive che danno un buon ritmo al film. L’inizio tra splits creen e montaggio veloce riesce a raccontarci il protagonista e ci fa subito capire che tipo di persona e’.
Il film corre molto all’inizio e quando arriva la caduta si stoppa. La caduta tra l’altro nel piu’ classico meccanismo della suspense sembra sempre imminente ma quando acccade l’effetto sorpresa e’ garantito. Da li’ in poi la storia e' tutta da vedere e le soluzioni di Danny Boyle per intrattenerci sono molteplici soprattutto grazie ad un ottimo utilizzo della musica e degli effetti sonori. E’ interessante anche l’uso dell’immagine, una delle protagoniste del film tra fotografie e riprese video. Ci sono poi scene molto cruente che ti costringono ogni tanto a distogliere lo sguardo dallo schermo. James Franco in tutto questo e’ molto bravo a sostenere il film quasi interamente da solo e in alcune scene e’ veramente notevole anche quando emerge il lato piu’ grottesco e surreale del film.
127 ore e’ un film che dietro alcuni virtuosismi registici (che possono risultare anche un po' furbetti) e una messa in scena claustrofobica racconta molto il protagonista e va a fondo. Senza mai essere didascalico il film tra visioni e immagini registrate ci dice quasi tutto sul passato del protagonista, anche che probabilmente nulla e’ accaduto per caso. E’ proprio questo il maggior pregio del film, non solo soluzioni acchiappa pubblico ma una storia dove il personaggio e’ raccontato a fondo. Non sara’ di certo un capolavoro ma il film e’ compatto e per niente vuoto di significato. Il finale non e’ all’altezza delle premesse, peccato perche’ lentamente il fuoco acceso della storia si spegne.  



lunedì 14 febbraio 2011

Il discorso del re di Tom Hooper

Questa volta sono andato in sala convinto di vedere un bel film ma diciamo che il mio ottimismo e' andato oltre le aspettative, ma cominciamo dal principio.
Il Discorso del Re racconta la storia dell'ascesa al trono di Giorgio VI dopo l'abdicazione del fratello a causa di un matrimonio a cui non poteva rinunciare neanche per il trono d'Inghilterra. La storia pero' va oltre la storia con la S maiuscola e ci racconta la difficolta' del principe/re che non riesce a sostenere dei discorsi pubblici perche' e' balbuziente. Giorgio VI incontrera' un logopedista, un attore fallito che lo aiutera' a superare il problema e non solo, lo aiutera' ad acquistare la fiducia in se stesso.
Da dove cominciare per elogiare questo film? Be' direi da quello che mi aspettavo. Mi aspettavo di trovare degli ottimi attori e la mia aspettativa e' stata confermata e superata. Colin Firth, Helena Bonham Carter, Geoffrey Rush sono verament fantastici. Il primo e' strepitoso e vorrei vedere il film il lingua originale per apprezzare la sua recitazione che nonostante il doppiaggio fa emergere la sua mimica e le sue difficolta' nel parlare, sapevo che era bravo ma qui e' una rivelazione. Geoffrey Rush nei panni del logopedista e' bravissimo e bellissima la sua interpretazione dell'australiano emigrato innamorato della cultura inglese. Poi c'e' Helena Bonham Carter che con la sua interpretazione della Regina Madre mi convince del tutto, finora l'ho sempre trovata brava ma sempre un po' sopra le righe, invece qui e' misurata e pienamente nel ruolo.
Altro punto di forza di questo film sono stati i dialoghi: brillanti, intensi e mai banali. Riescono a sdramatizzare alcune situazione e riescono a colpire laddove l'azione dei personaggi deve subire un cambiamento. Tutto in stile molto british.
La storia e' veramente ben narrata e mi e' piaciuto molto l'incontro che diventa amicizia tra due classi sociale, quella del re e del logopedista. Il Re deve essere un attore, come dice il padre Giorgio V al figlio, e proprio un attore fallito risolvera' i problemi di balbuzie di Giorgio VI, un attore fallito australiano e amante di Shakespeare. Tutta la storia e' tesa verso un finale drammatico e intenso ma senza far sembrare tutta la storia un lungo preambolo.


Tutto questo insieme ad una bellissima fotografia un po' me lo aspettavo anche se mi ha favorevolmente colpito ma quello che mi ha stupito del film e' la regia. Ci si aspetta una regia misurata, standard invece ti trovi delle bellissime inquadratura e una composizione dell'immagine che regala piacere agli occhi. Nei dialoghi le soluzioni di campo e controcampo sono sempre non prevedibili e molto spesso costruiscono l'immagine in modo atipico, tra tutti un dialogo tra Geoffrey Rush e la moglie. Un'altra scena da ricordare e' quella della discussione tra Colin Firth e Geoffrey Rush: una passeggiata nella nebbia dove il movimento degli attori e della telecamera ti buttano nel mezzo dell'azione e dei sentimenti. Poi c'e' la scena iniziale dove si respira tutto la paura e l'ansia di prestazione del Re di fronte ad un discorso pubblico. Il re e la moglie che aspettano ai piedi delle scale, lui che sale verso il microfono e le facce dei presenti quando lui non riesce a proferire parola.
Un gran bel film intenso e divertente che mi fa pensare ancora una volta che Hollywood e la produzione anglosassone sono un passo piu' in la' perche' riescono a confezionare film di qualita' senza scadere nella lentezza e nei sussurri di certo cinema italiano.

venerdì 14 gennaio 2011

Io e i libri nel 2010

Non mi piacce fare le classifiche ma ho trovato su un blog di cui consiglio la lettura un meme/catena di sant'antonio sui libri letti nel 2010. Mi e' sembrato carino ed eccolo qui.
Il tutto soprattutto grazie ad Anobii

Quanti libri hai letto nel 2010? 
22 tra l'altro lo stesso numero dello scorso anno...paura! 

Quanti erano fiction e quanti no? 
Strano ma vero, meta' fiction e meta' no...non me l'aspettavo. 

Quanti scrittori e quante scrittrici? 
Solo un saggio di una donna...Ops!

Il miglior libro letto? 
Nonostante questo libro sia bellissimo devo dire che e' stato un anno di strane letture e un livello di soddisfazione abbastanza basso 

E il più brutto?  

Il libro più vecchio che hai letto? 

E il più recente? 
Strano perche' molto raramente anno di lettura e di edizione coincidono 

Quale il libro col titolo più lungo? 

E quello col titolo più corto? 

Quanti libri hai riletto? 
Nessuno 

E quali vorresti rileggere? 
Una rilettura credo sempre godibile 

I libri più letti dello stesso autore quest’anno? 
Nessuno 

Quanti libri scritti da autori italiani? 
5 

E quanti dei libri letti sono stati presi in biblioteca? 
Nessuno 

Dei libri letti quanti erano ebook? 
Nessuno. Spero di resistere ancora per molto.

mercoledì 12 gennaio 2011

Re-vision: Gli Uccelli di Hitchcock


Che dire l'ultima volta che ho visto questo film è stato in videocassetta e ora dopo l'acquisto del DVD lo rivedo con gusto. Inizia come una commedia anni 40 questo  film di Hitchcock con due ottimi protagonisti e una bellissima Tippi Hedren alla sua prima esperienza che cerca di sostituire Kim Novak nel cuore di Hitch. Una Kim Novak che aveva dovuto sostituire Grace Kelly a sua volta.
Il film poi prende il via con la solita maestria del regista e sorprende la modernità del personaggio interpretato da Tippi Hedren. Ci sono molte cose da sottolineare su questo film. Maestria tecnica, suspense, effetti visivi innovativi (per l'epoca ovviamente) ma c'è una scena su tutte che voglio ricordare.
La protagonista è fuori la scuola. Con movimenti misurati si siede su una panchina e si accende una sigaretta e vede arrivare un paio di uccelli. Primo piano di Tippi Hedren e poi di nuovo un altro uccello. Poi un altro lunghissimo primo piano, quasi insostenibile e di nuovo un uccello. Primo piano di Tippi Hedren e stacco sul parco giochi della scuola dove il castello gioco è completamente ricoperto da corvi. Fantastico.


Basta questo per valutare questo film anche anche se sono numerose le scene che mi fanno pensare quanto tutto il cinema deve a Hitchcock. Il dialogo nel ristorante, la scena della cabina telefonica, l'assedio della casa solo con effetti sonori e l'attacco alla protagonista nella mansarda dove ripete il montaggio di Psycho. La chiusura del film poi è indimenticabile con la sua quiete, la sua calma irreale e quella fantastica inquadratura.
E' incredibile che a distanza di 50 anni il film rimane intatto nel suo ritmo e nell'angoscia che crea. Lascia la stessa sensazione della prima volta che l'ho visto: guardare di traverso gli uccelli per un paio di giorni. Ogni volta mi domando chissà cosa avrebbe significato averlo visto all'epoca. L'altra cosa incredibile è che Hitchcock realizza questo capolavoro come 50esimo film e dopo Psycho.

martedì 4 gennaio 2011

Eliot Lee Hazel