mercoledì 28 settembre 2011

Quell'oscuro oggetto del desiderio di Luis Buñuel

Un ricco borghese che a quanto sembra non ha bisogno di lavorare s'innamora di una ragazza molto più giovane di lui e nasce un'ossessione alimentata dal fatto che la giovane ragazza si nega sessualmente all'uomo. Tutta la storia ha sullo sfondo continui attacchi terroristici e bombe che esplodono.
Quell'oscuro oggetto del desiderio è l'ultimo film di Buñuel è un film che non ha bisogno del nonsense eccessivo e ostentato per sottolineare la sua anima surrealista ma sono sufficienti una forte critica alla borghesia e alcuni elementi estranei e stranianti per creare probabilmente l'ultimo film surrealista mai girato. Alcune scene sono magnificamente surrealiste, come la mosca nel bicchiere, il topo nella trappola, il sacco che si porta dietro il protagonista, la donna che cuce in vetrina un merletto insanguinato.
L'aspetto più intrigante del film è l'uso di una doppia attrice che interpreta la protagonista femminile. Conchita, la ragazza di cui s'innamora il ricco borghese, è infatti interpretata da due attrici bellissime e agli opposti sia per stile di recitazione che per aspetto fisico. Angela Molina e Carol Bouquet sono i due corpi che senza soluzione di continuità si alternano sullo schermo. Inizialmente lo spettatore viene spiazzato perché le due si alternano senza preavviso e senza capire apparentemente il perché. Poi l'occhio si abitua alle due espressioni del personaggio e resti affascinato dalle scene dove le ragazze si alternano. Se non è surrealismo questo.
Il film, poi, è antiborghese perché ci mostra un ricco uomo, interpretato alla perfezione da un elegantissimo Fernando Rey, che ha tutto nella vita, non ha necessità di lavorare ma non riesce ad avere il corpo e la verginità della bella e giovane Conchita. Nasce in lui un senso di frustrazione e ossessione che solitamente è estranea all'uomo borghese. Chi non ha nulla è frustato dal possedere qualcosa che non può avere, mentre questo solitamente al borghese non accade mai. Ecco che Buñuel ci mostra che forse qualcosa anche ai borghesi è negato, un corpo che non desidera vendersi per puro gioco o pura convenienza, ma che comunque non cede.

Carol Bouquet e Angela Molina le due attrici che interpretano la protagonista

venerdì 23 settembre 2011

L'alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt


Il pianeta delle scimmie, l'originale del 1968 è forse uno dei film più affascinanti della mia infanzia e adolescenza. Ad ogni passaggio televisivo non potevo far a meno di vederlo e di arrivare a quel finale così inatteso e così sorprendente. Non c'era bisogno di sofisticati effetti speciali per rendere più reali del reale le scimmie, era sufficiente il fascino della storia e quello che non raccontava.
L'alba del pianeta delle scimmie è il prequel di quella storia e nonostante le aspettative potevano essere diverse devo ammettere che l'ho trovato un bel film che utilizza le citazione dell'originale con discrezione. Partendo dal presupposto che probabilmente i prequel, che tanto piacciono a Hollywood in questo periodo, quasi mai sono necessari, considero questo film di Rupert Wyatt un film a parte e capostipite di una nuova saga ripartendo da queste origini, com'è successo anche con il Batman di Christopher Nolan.
Il film racconta come un esperimento di laboratorio che doveva trovare la cura all'Alzheimer diventi un'arma nella mani delle scimmie per sovvertire l'ordine degli umani. È un film sulla rivoluzione, su come l'evoluzione inevitabilmente porta alla ribellione. Un'evoluzione culturale però, non tecnologica. L'intelligenza, la cultura e la parola sono la forza di queste scimmie che si ribellano agli essere umani che li sottomettono e li sfruttano. Il film ci parla di una rivoluzione che nasce da un capo, da un elemento che si assume la responsabilità di guidare gli altri e per questo viene riconosciuto, rispettato e protetto. Un blockbuster che come accade ogni tanto ci racconta molto di più di quello che sembra.
Gli effetti visivi non necessitano di commenti, le scimmie sono reali e in alcuni scene la regia timidamente ci regala delle ottime sequenze sopratutto nella foresta delle sequoie, nelle gabbie delle scimmie e quando crea una suggestiva pioggia di foglie.
In conclusione una domanda che mi sono fatto più volte durante la visione: Perché sto dalla parte delle scimmie?



lunedì 19 settembre 2011

Carnage di Roman Polanksi


Roman Polanski e' bravo non c'e' niente da dire, me lo dimentico sempre ma poi alla fine se faccio un bilancio dei suoi film visti mi rendo conto che sono quasi tutti film notevoli e ricchi di spunti interessanti. La sua ultima opera, Carnage, non fa che confermare questa mia idea.
La storia e' semplice. Due coppie di genitori si ritrovano in un appartamento per discutere di un litigio tra i due figli. Uno dei due "armato" di bastone ha colpito l'altro "sfigurandolo". Da questo iniziale argomento di confronto ne nasceranno tanti altri che contrappongono non solo le due coppie di genitori, ma anche i due uomini, le due donne e tutti contro tutti...un gioco al massacro insomma.
Le parole tra virgolette non sono un caso perche' Carnage oltre ad essere un film di attori, con impianto teatrale, ma dove il cinema seppur sottile si vede eccome, e' un film di dialoghi, di parole, di presunti malintesi. Un film di scontro sul territorio della parola che diventa anche un po' fisico a tratti.
Gli attori sono pienamente all'altezza della situazione e riescono a creare uno scontro di civilita' in piena regola, esplodendo a turno e danno la loro prova di recitazione con efficacia. Christoph Waltz scoperto da Tarantino in Bastardi senza gloria e' sublime nelle sue modo di porsi, di parlare e di muoversi sulla scena. Jodie Foster e' fastidiosamente odiosa e isterica. Kate Winslet affascinante e remissiva all'inzio per sfogarsi in un finale in crescendo. John C. Reilly, l'eterno coprotagonista, e' all'altezza dei suoi colleghi e completa a perfezionare il quadro.
La regia di Polanski si vede nel movimento degli attori sulla scena, nei loro gesti controllati, misurati e mai gratuiti. Di Polanski c'e' molto altro in questo film, c'e' il suo discorso su vittime e carnefici (come nel bellissimo La Morte e la Fanciulla) c'e' il luogo d'azione chiuso e claustrofobico (Rosemary's Baby ma anche l'ultimo L'uomo nell'ombra) e c'e' quella sua acidita' e quel suo gusto tagliente di creare discussione e scontro, di mettere in discussione l'ovvio e il socialmente accettato fino a creare in alcuni casi paranoie reali o presunte.
Un aspetto interessante del film e' inoltre la struttura. Si apre e si chiude allo stesso modo, in esterni con protagonisti i ragazzini e la musica mentre tutta la parte centrale e' ambientata nell'appartamento. E' come se tutto il mondo adulto si svolgesse li' in un eterno scontro e confronto, l'aspetto curioso infatti e' che nel film non ci viene mostrato quando le due coppie s'incontrano e quando si lasciano. Questo come a sottolineare l'eternita' del confronto, dello scontro e del massacro.

venerdì 16 settembre 2011

SUPER 8 di J.J. Abrams


Per la trama del film forse e' il caso di rimandare altrove dove sanno sintetizzare in modo efficace la storia. Andiamo invece dritti al punto e parliamo un po' in ordine sparso di un film che ti riporta agli anni 80 e non solo con la ricostruzione del film ma in generale con il sapore di un cinema che forse e' sparito e che fa parte della mia infanzia/adolescenza. Un film dove i protagonisti principali sono un gruppo di pre-adolescenti che ti fanno ritornare a quell'eta'.
Film perfetto per chi e' cresciuto con i Goonies, Stand By Me o E.T. Gli stessi che da adulti hanno ritrovato in parte negli adulti di Lost quella ricerca dell'ignoto. La ricerca del mistero, dell'avventura a tutti i costi, la speranza di trovare un galeone pieno d'oro sono tipiche di quell'eta'. Oggi non so se i ragazzini vivono le stesse cose oppure crescono piu' in fretta. Forse non e' piu' come prima se c'e' la necessita' di raccontare questa storia negli anni 80 e non ai giorni nostri.
Nonostante questo ritorno al passato il film non sa di antico, nostalgico probabilmente si, ma antico no di certo. Tutto e' nuovo ma tutto e' classico. I ragazzini in bicicletta, la pellicola del film sono un classico mentre l'alieno e le dinamiche che comporta sono moderni o comunque sempre presenti. Si cerca di ridurre l'Altro, lo straniero, l'alieno in schiavitu', si cerca di reprimerlo e l'intervento dell'esercito, come nella migliore tradizione americana, e' la raffigurazione del potere e della sua arroganza. Mentre dall'altro lato i ragazzini sono la faccia pulita, onesta e sincera della societa'. Questa sintesi aiuta sempre Hollywood a creare le sue storie e ci riescono quasi sempre bene sopratutto quando alla regia c'e' JJ Abrams e alla produzione c'e' Spielberg.
Nel film c'e' lo spirito infantile alla Spielberg che al cinema non guasta, in fondo il cinema di Hollywood funziona anche per questo, per il gusto della scoperta, della sorpresa e delle prime avventure. C'e' sono Incontri ravvicinati (lo sguardo del mostro alieno), c'e' E.T. (le biclette e l'empatia con l'alieno) ma c'e' anche Lost e c'e' anche Cloverfield sopratutto nell'introduzione del mostro. Ce' il sogno e l'aspirazione come quella di fare cinema dei ragazzini protagonisti che girano un film sugli zombie, probabilmente qui c'e' molto di autobiografico.
La regia di Abrams e' molto ben fatta, di gusto, con i suoi controluce, i primi piani pieni di speranza negli occhi dei bambini. Il disastro ferroviario, poi, e' stupefacente soprattutto se confrontato ai disaster o agli action movie. Un film di fantascienza dove gli effetti speciali non sono i padroni dello schermo ma lo sono la storia e le persone. Un racconto ben scritto e senza lungaggini, un cast di ragazzini perfetto dove spicca una sempre piu' interessante Elle Fanning
Super 8 in conclusione e' un bel film, da gustare al cinema, che secondo me dimostra che un altro cinema hollywodiano e di genere e' ancora possibile e per chi e' cresciuto anche con questo cinema e' consolante.
Un'ultima nota: da non perdere i titoli di coda, non scappate alla fine del film e godeteveli.