martedì 19 giugno 2012

Cosmopolis di David Cronenberg


Ho più volte pensato a come parlare di questo complesso film di Cronenberg e non credo ci sia un modo corretto. Quello che mi rimane sono delle impressioni sparse che sono così in divenire che potrebbe non finire mai.

È difficile prescindere dal libro di DeLillo perché in fondo l'opera del regista canadese è un suo doppio, un suo alter ego visuale. I punti di contatto tra le due opere sono molte e il romanzo completa un film difficile da digerire, un film che va masticato e rimasticato e non può essere bollato semplicemente come logorroico. Del libro ne ho parlato qui.

È un film di lunghi dialoghi e questo è innegabile. Ma questo fiume di parole è coerente in tutto il film.  L'odissea del protagonista a bordo della sua limousine è un'odissea di parole e di dialoghi.  Sembra paradossale ma quest'opera cinematografica mette al centro della scena proprio la parola mettendo in secondo piano le immagini. L'immagine sembra quasi ridotta a semplice scenografia della parola anche se non possiamo parlare di teatralità perché è proprio il montaggio ad essere fondamentale. Una serie di quadri e inquadrature ordinate.

Il film è una serie di personaggi che si susseguono e parlano con Eric che cerca di raggiungere il suo barbiere. Una ricerca e un viaggio che ovviamente vuol dire molto altro sul personaggio stesso e sulla società in cui vive e viviamo. Il film esce in sala dopo gli eventi reali di Occupy Wall Street ma il libro li precede di diversi anni. La storia corre più veloce della produzione di un film.

Gli intensi dialoghi all'interno della limousine si contrappongono a quelli freddi di Eric con la moglie. Una moglie bambola da ostentare solo per status sociale. Dopotutto il matrimonio è un contratto, un affare che Eric non riesce a gestire allo stesso modo perché le pulsioni sessuali prendono il sopravvento. Gli altri personaggi che parlano con il protagonista sono un susseguirsi di tematiche legate all'economia, alla società e al mercato. Mi hanno fatto notare che le età delle persone sono un crescendo.

Cosmopolis sembra che abbia come unico obiettivo quello di alienare lo spettatore così come è alienato Eric. Il mondo di cui si parla tanto, la società civile è all'esterno del racconto. L'ambiente d'azione dei protagonisti quasi sempre chiuso e circoscritto primo tra tutti la limousine che sembra una carro funebre. Non c'è spazio per il mondo esterno. Un semplice elemento di disturbo. Una realtà da vivere passivamente attraverso gli schermo. Una realtà de-materializzata

Un film da vedere e da ascoltare. Un film da amare o da odiare. Un film da digerire. Sicuramente non è il Cronenberg che mi aspettavo. Mi aspettavo un Cronenberg alla eXistenZ o alla Crash e mi ritrovo invece un Cronenberg alla A Dangerous Method. Un Cronenberg maturo? Non saprei ma sicuramente diverso e proiettato sempre dove non te lo aspetti. Per questo è sempre meglio non perderlo mai di vista

lunedì 14 maggio 2012

Dark Shadows di Tim Burton


Lo devo dire sinceramente, ogni volta che esce un nuovo Burton al cinema non posso fare a meno di andare a vederlo. L'unico che ho saltato recentemente è stato Sweeney Todd solo perché "il musical no per favore". Ogni volta che vado al cinema a vedere un film di Burton cerco di perdere ogni pregiudizio. Commenti dalle anteprime, l'ennesima presenza di Johnny Depp, l'ennesima presenza di Helena Bonham Carter e così via. 
Ed ecco che con questo spirito sono andato a vedere Dark Shadows, fiducioso ma con le aspettative ridotte al minimo. Purtroppo l'esito è stato comunque deludente. Il film non mi è piaciuto un granché. Da dove cominciare? Io comincerei dai lati positivi che altrimenti pare brutto sparare a zero da subito.
La confezione generale del film devo dire che funziona. La fotografia è eccezionale e nonostante la regia non sia delle più originali, mi ha soddisfatto. Il vero punto top però sta in alcuni elementi del cast tra cui Michelle Pfeiffer che nonostante il suo ruolo secondario rende benissimo. La vera bomba del film però è Eva Green e non solo per la sua indiscutibile bellezza ma per il suo personaggio forte, ben caratterizzato e interpretato alla grande. Riesce a dare tutta la forza necessaria al personaggio di Angie. Vero punto cardine del film e sicuramente personaggio che rimarrà tra i meglio riusciti del cinema burtoniano. Insomma il prezzo del biglietto lei lo vale tutto. 
Passiamo invece alle note dolenti. Mi dispiace affermarlo pubblicamente ma credo che Johnny Depp ormai indebolisca i film di Burton invece che migliorarli. I suoi personaggi mi sembrano un po' ripetitivi e la sua mimica dopo un po' va a noia, nonostante alcune trovate nel film riescono a strappare dei sorrisi.
Da un punto di vista della sceneggiatura poi ho trovato un po' di passaggi eccessivamente semplificati, alcune soluzioni buttate un po' alla rinfusa. Insomma mi sembra che la sceneggiatura poteva essere un po' più amalgamata e ne aveva di potenzialità. Manca molto l'ironia e la sana follia di film come Ed Wood, Beetlejuice e Mars Attack. Per non spoilerare non vado oltre.
Il film ha delle potenzialità ma si doveva applicare di più. È un film alterno che vive di scene riuscite e intere sequenze noiose e banali. In tutta la parte finale, decisamente pirotecnica, c'è molto di già visto, vi ricorda qualcosa la Morte ti fa bella? Un film comunque da vedere ma che mi fa pensare: dove ti sei nascosto Tim? Non posso pensare che il regista di Edward Mani di forbiceBig Fish sia stato un bluff. Non riesco a credere che la sua disneyzzazione sia così prepotente. Provaci ancora Tim!

domenica 6 maggio 2012

Non lasciarmi di Mark Romanek


Non lasciarmi è uno di quei film che alla fine della visione mi lascia interdetto di fronte allo schermo. È uno di quei film che quando lo vedi al cinema non puoi fare a meno di arrivare alla fine dei titoli di coda perché hai bisogno di riprendere un qualche contatto con il mondo esterno.
Raccontare la storia potrebbe rovinare la visione perché è bello vederlo sulla fiducia conoscendo solo alcuni elementi che potrebbero farlo evitare. È una storia d'amore e da questo non si scappa ma è una di quelle storie d'amore struggenti e poco confezionate. Questa storia d'amore è inserita in una cornice fantascientifica e quando parlo di fantascienza non mi riferisco a quella del futuro ma ad una fantascienza realistica e solo concettuale.
In Non lasciarmi ci sono due attori giovani e veramente bravi. Carey Mulligan e Andrew Garfield riescono a restituire tutto il sentimento della storia. Tutto il suo struggente evolversi e tutti i sentimenti dei due protagonisti sospesi tra un improbabile futuro e un delicato e prezioso ricordo del passato. Entrambi gli attori mi stupiscono perché in apparenza sembrano essere sempre loro stessi ma in ogni film restituiscono un personaggio differente dando corpo e vita a nuove storie. Lei per capirci è la sosia brava di Katie Holmes mentre lui è il nuovo magrissimo Spider Man nonché co-fondatore di Facebook in The Social Network. 
La regia di Mark Romanek rende nel migliore dei modi il freddo delle anime e la solitudine dei protagonisti. I suoi campi lunghi ci raccontano di persone sole al mondo e la messa in scena sempre esposta al freddo e al vento ci mostrano insieme alla pallida fotografia una storia di un futuro mancato e della sofferenza che deriva da tale mancanza. 

Note a margine:
Mark Romanek è quello di One Hour Photo, l'agghiacciante film del 2002 con Robin Williams.
Il film è tratto dal romanzo Never Let Me Go di Kazuo Ishiguro

lunedì 23 aprile 2012

Biutiful di Alejandro González Iñárritu


Biutiful è un film duro, doloroso e struggente che pur non avendo toccato in particolar modo le mie corde emotive riesce ad essere un film intenso con un Javier Bardem che restituisce in modo impeccabile un personaggio problematico in bilico tra morte e vita.
Il film di Iñárritu racconta la storia di un uomo che sfrutta il prossimo per il proprio guadagno ma che nonostante ciò riesce ad essere capace di una profonda e intensa umanità. La vita del protagonista è una di quelle esistenze che a dispetto degli sforzi e i tentativi non hanno via di scampo. Nessuno si prende cura di persone come Uxbal, un uomo destinato a occuparsi degli altri senza che nessuno riesca a sostenerlo. Uxbal è un uomo che vede oltre la morte e convive con quella degli altri ma non riesce ad accettare la propria. Soprattutto perché c'è il dramma di non poter pareggiare i conti con la vita e con le persone a lui care, in particolare i figli.
Sullo sfondo di una Barcellona cupa, abbandonata e decadente la storia di Uxbal si mescola a quella dei lavoratori clandestini, di un'immigrazione dura e difficoltosa. Il film ci trascina all'interno di una spirale verso il basso senza fine, senza via di scampo e senza niente di biutiful. Un uomo quasi giunto al capolinea e una variegata umanità che purtroppo non hanno niente di bello dalla vita e non cercano di chiedere altro. Ogni sforzo è perduto, ogni tentativo di risalita è vanificato.
L'oscurità che circonda le anime dei personaggi è resa visivamente da un racconto cupo e poco illuminato dove le luci brillanti ogni tanto fanno capolino come per mostrare una via d'uscita. La speranza però non appartiene agli uomini, alle donne e ai bambini di questo film. La luce cerca di riscaldare i loro cuori ma non arriva all'anima che probabilmente è irrimediabilmente persa e recuperabile solo con la morte.

mercoledì 18 aprile 2012

Diaz di Daniele Vicari


Diaz e' un film doloroso e necessario, due affermazioni che ho letto da più parti e che mi sento di condividere in pieno. Un film difficile da valutare con distacco, ecco perché prima di scriverne ho fatto passare alcuni giorni.
La storia della Diaz e' tristemente famosa ma il film di Daniele Vicari riesce ad amplificarla e a renderla un messaggio potente e violento. Non lo fa con un film di accusa, un documentario o un film di denuncia nel senso classico del termine. Daniele Vicari con il suo Diaz ci regala una testimonianza basata sugli atti processuali. Una testimonianza visivamente notevole, con inserti di repertorio che si amalgamo alla perfezione nel tessuto del racconto.
Dal punto di vista dei contenuti e' apprezzabile il fatto che il regista/autore cerchi una visione esterna, senza polemiche, tesi precostituite e giudizi sommari. Mi ha ricordato un po' l'atteggiamento che aveva avuto Gomorra nei confronti della sua storia. Anche se in quel caso il punto di partenza era un libro testimonianza, la sensazione e' la stessa di Diaz.
L'altro elemento notevole di questo film e' la sua scelta di realizzare un racconto puramente cinematografico che non si perde dietro a inutili didascalie. La scelta narrativa del puzzle e' una scelta già vista ad esempio in alcuni film di Quentin Tarantino o nel capostipite Rapina a mano armata di Stanley Kubrick. Una serie di storie, di personaggi e di punti di vista che si stringono intorno al cuore della vicenda. Un'ottima operazione di montaggio e costruzione narrativa rende il tutto fluido e comprensibile, nonché potente ed emozionante. 
Anche le scelte di regia sono orientate tutte verso un cinema puro, quasi di genere. I film di guerra ma soprattutto il genere horror creano lo stile narrativo di alcune sequenze. Le scene di Bolzaneto sono horror puro non solo per il contenuto.
Un film notevole insomma che ha generato e generera' molte critiche perché non ha scelto di raccontare tutto ma che ha avuto il coraggio di fare delle scelte con una materia così scottante. Una materia scottante che ti fa crescere la rabbia dentro e ti fa uscire dal cinema con gli occhi lucidi e lo stomaco sottosopra.

lunedì 16 aprile 2012

Biancaneve di Tarsem Singh


Complice il week end freddo e piovoso sono andato al cinema ben due volte questa settimana con scelte a dir poco schizofreniche: Diaz e Biancaneve. Del primo parlero' poi mentre ora vorrei concentrarmi sul film di Tarsem Singh.
La trama e' presto riassunta. C'e' Biancaneve, c'e' la strega cattiva, c'e' il Principe e ci sono i nani. C'e' anche lo specchio magico, dei burattini assassini e un mostro. Insomma ci sono un po' di cose oltre alla classica storia da bambine.
Personalmente ho trovato il film discretamente noioso a parte alcuni punti rivitalizzanti. Ma sorvolando sul gusto personale devo dire che il film non mi pare riuscito del tutto. Ci sono bei costumi, alcune belle scenografie ma il tutto appare posticcio e decisamente poco brillante. La messa in scena non e' all'altezza delle aspettative. Una regia piatta senza soluzioni visive degne di note e con pochi guizzi.
Altra nota dolente e' la storia, sospesa tra tradizione romantica e rivisitazione ironica in chiave moderna. Una via di mezzo che di certo non da' una forma narrativa chiara al film, che salta continuamente da un registro all'altro senza un senso compiuto.
Note positive pero' ce ne sono. La rivisitazione dei nani e' discretamente riuscita. Senza anticipare nulla sulla trame c'e' da dire che ci hanno giocato bene e in parte il risultato e' buono. L'altro elemento interessante e' lo Specchio Magico e la scena dei burattini assassini. Insomma un film per famiglie un po' piatto e senza troppi spunti interessanti. Di certo non e' un film memorabile per me e credo neanche per le bimbe della fila di fronte alla mia.

lunedì 19 marzo 2012

Millenium - Uomini che odiano le donne di David Fincher


Le premesse di questo film devo ammettere erano tutt'altro che buone perché realizzare negli Stati Uniti un remake di un film svedese che era a sua volta l'adattamento di un romanzo di successo sembrava un'operazione vuota e pienamente commerciale. Poi avendo letto il bel romanzo di Stieg Larsson e visto il primo noioso adattamento cinematografico le mie aspettative erano tutt'altro che positive.
Sono sufficienti i titoli di testa per farmi cambiare idea sul film. I titoli sono un vero e proprio videoclip nero liquido che sintetizza la storia sulle note di una cover dei Led Zeppelin ad opera di Trent Reznor. Un'apertura geniale perché ci anticipa una storia già nota, esorcizzando il concetto di remake, il tutto sottolineato da una cover musicale.
Il film di Fincher riesce a sintetizzare in modo efficace la storia del romanzo e soprattutto restituisce in pieno lo spirito del libro. La narrazione non si perde in superflui spiegazioni ma pone l'attenzione sui due protagonisti, scavando al loro interno e presentandoli agli spettatori grazie all'efficace montaggio alternato. I personaggi vengono messi a nudo emergendo come persone fragili e tormentate. Sotto questo aspetto devo dire che Daniel Craig mi ha stupito positivamente, non pensavo riuscisse in tanto.
E' un film cupo, duro e violento quello di Fincher. Un film che non da' molte via di scampo ai protagonisti e soprattutto a Lisbeth Salander. Lei e' la vera forza di quest'opera narrativa creata da Stieg Larrson ed e' impressionante quanto acquisti sempre piu' forza in tutte le sue rappresentazioni. Nel Millenium di Fincher, Rooney Mara e' una Lisbeth magnetica, affascinante e tormentata. L'attrice riesce con i suoi sguardi e la sua sola presenza a riempire la storia.
Il film di Fincher è un'esperienza visiva ma anche molto sonora. E' intrigante il modo in cui Fincher usa il suono per raccontare alcuni momenti della storia, i suoi lati più oscuri e il personaggio di Lisbeth che con le sue urla animalesche è tremendamente inquietante. Le immagini più' dure, cupe e violente vengono potenziate da disturbi sonori e dalla bella musica della coppia Trent Reznor-Atticus Ross.

sabato 17 marzo 2012

Animal Kingdom di David Michôd


Animal Kingdom è un piccolo film australiano che si rivela essere una potente storia di violenza e legami di sangue. Raccontato in un modo straniante rispetto ai soliti gangster movie, il film ti avvolge con le sue spirali, tra accelerazioni e frequenti rallentamenti. Quasi sempre l'azione è nella stasi e la storia si evolve lentamente con ritmo.
Il regno degli animali è quello della legge del più forte che costringe i più deboli a trovare una qualsiasi protezione pur di scampare ai pericoli della vita. Un film che parla di una famiglia, quasi mafiosa in apparenza, se non fosse che non c'è mai di mezzo l'onore nelle loro vendette ma quasi sempre c'è pazzia e follia nelle azioni di protagonisti.
Un ottimo e affiatato cast guidato da una bravissima Jacki Weaver e dal giovane James Frecheville. La prima interpreta una madre matrona che tira indiretta le fila della storia e degli eventi. Il rapporto con i figli è morboso e amorevole, un bilico che crea ancora più inquietudine. Il giovane attore che interpreta J invece riesce benissimo a rendere l'idea del personaggio perso in un mondo che non gli appartiene.
Un film assolutamente da recuperare impreziosito da una regia discreta ma efficace che sopratutto con la prima e l'ultima scena riesce a racchiudere in due immagini un film, una storia, una vita.

sabato 10 marzo 2012

An education di Lone Scherfig


Metti che una sera in TV programmano un film che non hai visto e che volevi vedere al cinema. Metti che quella sera non esci e riesci a vederlo dall'inizio ed ecco che scopri An education. Il film è scritto da Nick Hornby, la sua prima sceneggiatura per il cinema, e già questo dovrebbe rendere godibile il film e la sua storia. Infatti è proprio quello che succede.
An education è un film che scivola leggermente, e la sua visione risulta più che gradevole soprattuto grazie all'ottimo cast che s'integra perfettamente con la storia e la rende pienamente credibile nonostante gli sviluppi non sempre siano originali. Carey Mulligan in particolare riesce con pochi fronzoli ed eccessi a disegnare sullo schermo un personaggio che matura e cresce, non senza dolore e non senza errori. Incredibile questa attrice così simile eppure così lontana da Katie Holmes. In 3 film di Carey Mulligan che ho visto (Drive, Shame, An education) ho trovato tre donne, tre storie diverse, tre belle interpretazioni.
Emozionanti e irritanti allo stesso tempo la coppia di genitori perfettamente in sintonia con l'epoca in cui il film è ambientato. Altro pregio del film infatti e la rappresentazione leggera dell'Inghilterra degli anni 60. Il film infatti sceglie una piccola storia, un piccolo quartiere per raccontare le generazioni e i cambiamenti sociali imminenti.
Un piccolo film, una piccola storia, un ottimo cast per un film che racconta con leggerezza il cambiamento di un'epoca attraverso gli occhi e la storia di una ragazza.

giovedì 9 febbraio 2012

Shame di Steve McQueen


Non saprei dire se Shame mi sia piaciuto perché il film ha degli aspetti interessanti e altri meno. Questo non significa che sia una film altalenante, anzi ha una sua compattezza e una sua coerenza registica e narrativa. L'insieme pero' non mi ha folgorato, mi lascia perplesso. Se dovessi etichettarlo lo definirei un buon film che in parte si salva per la regia ma e' lontano dall'essere un capolavoro. 
Il film narra la storia di un uomo emotivamente solo, con una vita schematica e ordinata ai limiti della maniacalita'. Il sesso in questo contesto e' coerente con il resto della sua vita ed e' monotonia e ossessione. Il protagonista ha rapporti in gruppo, da solo, con donne e con uomini, reali e virtuali ma non c'e' mai uno slancio affettivo o un istinto passionale, c'e' solo la necessita' fisica di saziare il corpo. Quando tenta di avere una relazione normale non ci riesce, come se il suo corpo la rifiutasse.
Il corpo come nel precedente film del regista (di cui ho parlato qui) e' centrale, e' lo strumento e il mezzo per rapportarsi con l'esterno e in un certo modo diventa una trappola. Nel caso di Hunger diventa strumento di lotta politica, nel caso di Shame invece il corpo e' l'unico mezzo per intrattenere relazioni umane. L'unica relazione umana che apparentemente e' fuori da questa regola e' il rapporto con la sorella che irrompe nella vita del protagonista per scombinare la sua ordinarieta' e la sua monotonia. L'agente esterno che mette in crisi l'uomo e lo spinge verso l'abisso.
La storia viene narrata in modo impersonale dal regista, e' presentata senza una morale e senza un giudizio da parte di chi racconta. Una scelta giusta per un film con una storia come questa ma che potrebbe essere legata anche il limite più evidente del film. Il racconto, infatti, a tratti può risultare banale e superficiale. Il non detto può diventare un limite in un film ben confezionato come questo.
La storia e' illustrata da una regia veramente notevole che e' il punto di forza di questo film. Una regia con movimenti di macchina misurati e una composizione dell'immagine mai fuori posto. In particolare la scelta di tenere quasi sempre la macchina ferma durante i dialoghi e la bellissima scena con macchina fissa alle spalle dei protagonisti durante lo scontro verbale tra i fratelli e' affascinante e pienamente azzeccata. La loro storia, il loro passato e' oscuro e e quella scena di spalle sottolinea l'estraneità dello spettatore. La fissità dell'immagine nel dialogo invece pone l'accento sulla durezza verbale.
Gli attori sono entrambi bravi e convincenti in particolare mi ha sorpreso Carey Mulligan che finora avevo visto solo in Drive dove mi era piaciuta ma non avevo capito se fosse capace di altro. Guardando i due film invece l'attrice impersona due donne diverse, quasi agli antipodi, risultando convincente in entrambi i casi.

lunedì 6 febbraio 2012

Hugo Cabret di Martin Scorsese


Martin Scorsese nella sua lunga carriera ci ha abituato ad un genere di film che si discostano totalmente dal suo ultimo lavoro. Se penso a Quei bravi ragazzi, a Casinò, a Toro scatenato non posso pensare che sia lo stesso regista di Hugo Cabret.
Ovviamente il regista americano ha tutto il diritto di cambiare genere e fare quello che vuole però sarebbe stato bello vedere un film più robusto e meno blando nonostante le bellissime immagini. Quello che mi ha deluso maggiormente di questo film è il poco trasporto emotivo che provoca e che invece mi sarei aspettato da un film come questo. Quello che rimane è un film alla Spielberg senza l'occhio e lo spirito di Spielberg.
Ci sono alcuni guizzi registici e anche l'uso del 3D è notevole però manca quello che maggiormente ho sempre apprezzato in Scorsese. Mancano le emozioni che arrivano con i suoi film dove in gioco c'è la moralità dei protagonisti.
Hugo Cabret non è un film brutto, sia chiaro, è un film ben confezionato con bravi attori ma senza anima e ce ne vuole a fare un film senza anima quando si parla della storia del cinema e si parla di George Méliès. La ricostruzione dei film di Méliès, ad esempio, è più una ricostruzione da Luna Park che una ricreazione dell'illusione. Niente da fare l'emozione è assente.
Il progetto in sé poteva essere interessante. Un film 3D per celebrare uno dei cineasti più innovativi del cinema è una buona idea, in linea con il suo cinema. Anche fare un film per famiglie ha una sua coerenza perché sono i bambini che si perdono nel racconto e nell'illusione della fiaba cinematografica. Ben venga questo film solo per un motivo, potrebbe far conoscere il cinema delle origini alle nuove generazioni e magari chissà qualcuno tra loro potrebbe essere il nuovo Scorsese o il nuovo Méliès.

Approfitto di questo post e di questo film per ricordare George Méliès con uno dei suoi film più famosi "Le Voyage dans la lune"

venerdì 3 febbraio 2012

The Orphanage di Juan Antonio Bayona


The Orphanage è un film spagnolo del 2007 che da quanto ho letto ha fatto incassi straordinari in patria. L'ho recuperato tardivamente e devo dire che è un film che mi ha positivamente stupito, mi aspettavo un horror con tensione, colpi di scena ed effetti ad arte invece il film che ho visto si potrebbe definire un melodramma horror.
Il film di Bayona parte da premesse abbastanza classiche. C'è la casa infestata, il bimbo problematico, la madre apprensiva e il padre razionale. Il bambino scompare e da quel momento la trama si snoda attraverso le diverse problematiche della casa posseduta dai fantasmi. Arriva la polizia con il suo lato razionale, la medium con il suo lato emotivo-spiritico e si crea la dicotomia tra padre e madre. La madre sempre convinta che la soluzione sia all'interno della casa e non vuole mollare, il padre invece che cerca di  superare il dramma della scomparsa, razionalizzando.
Il vecchio orfanotrofio diventa il teatro di apparizioni, di ricerche e di macabre scoperte ma gli autori del film non cedono mai il passo ad effetti di serie b e tengono ben strette le fila costruendo visivamente un film elegante, ben girato e ben curato. Più la storia si sviluppa e il più il lato horror diventa secondario, lasciando il passo ad una struggente ricerca della madre che ha perso il proprio figlio. La fiaba dell'orrore lascia pian piano lo spazio ad una favola fantastica e soprannaturale dove i sentimenti guidano la narrazione. Uno strano film questo The Orphanage, emozionante e commovente. Una piacevole sorpresa. Da sottolineare che dietro la produzione c'è Guillermo Del Toro.
Il cinema spagnolo ci fa vedere da un po' di anni un cinema che rilegge alcune regole del cinema e le piega ad una nuova sensibilità. Questo riesce particolarmente bene con il cinema horror/fantastico. Un film come The Orphanage in mano ad una produzione americana probabilmente sarebbe andato sopra le righe molto spesso, vanificando l'emozione e quanto di buono si poteva creare. Hollywood comunque ne farà un remake con Del Toro che probabilmente farà parte della squadra.

venerdì 13 gennaio 2012

The Good Wife


Da qualche parte ho letto qualcuno che diceva che le serie tv sono i nuovi romanzi. Forse e' vero o forse no pero' come i buoni romanzi le serie tv posso creare assuefazione - chiedetelo a tutti i fan di Lost - ti fanno entrare nel loro mondo e i personaggi diventano quotidiani quasi amici. Per chi come vede le serie tv, non molte visto il livello medio di cui leggo in giro per il web, la ricerca della serie che t'imprigiona e ti lega al divano e' perenne.
Negli ultimi tempi l'ho trovata in The Good Wife, recuperata colpevolmente in ritardo rispetto alla messa in onda americana e a quella italiana. Siamo ormai giunti alla terza serie e io ho da poco cominciato la seconda dopo aver divorato la prima stagione.
Su Serialmente ci sono delle bellissime recensioni sulle puntate e ho letto in una di esse una cosa verissima: raccontare la trama di questa serie sminuisce decisamente la visione e non rende giustizia alla serie perché The Good Wife e' una grande serie scritta perfettamente con dei personaggi che vivono di vita propria.
La serie in poche parole parla della moglie dell'ex procuratore di Chicago che torna a fare l'avvocato dopo che il marito e' stato mandato in carcere accusato di corruzione. La serie segue le vicende dei diversi casi legali di Alicia (Juliana Margulies), della sua vita di moglie tradita, di madre e segue poi le vicende giudiziarie del marito. C'e' anche un triangolo ma non voglio svelare troppo e tutto e' inserito con cosi' tanta discrezione che non appesantisce la storia.
Personalmente non amo i legal drama pero' questo e' diverso perché le puntate, come invece spesso accade per le serie legal e crime, non seguono un format ripetuto. I casi sono tutti diversi e in diversi ambiti legali e sopratutto molto avvincenti, nella prima stagione onestamente non ho trovato neanche una puntata noiosa o banale. L'altro aspetto interessante poi e' che l'aspetto legale e' presentato da tutti i suoi punti di vista e non solo attraverso il semplice e scontato dibattito in aula. Si mostrano i retroscena, quello che avviene prima e dopo un processo e anche quello che avviene per non arrivare ad un processo.
Dal punto di vista morale la serie e' ricca di personaggi che vivono sul confine tra il bene e il male, agiscono non sempre in modo politicamente corretto e tutti alla fine cedono ai compromessi della carriera e del denaro oppure cedono semplicemente per salvarsi la faccia. Non ci sono ne' santi ne' eroi mentre l'etica e la  moralità sono sempre messe in discussione.
L'altro punto di forza della serie e' che la trama orizzontale e' perfettamente integrata in quella verticale e tutto scorre magnificamente anche grazie ad un cast e a delle sceneggiature di ferro. Nel cast oltre alla bravissima protagonista ce ne sono tanti altri molto bravi e l'investigatrice dello studio, l'ambigua Kalinda, ti tiene incollato allo schermo. In questa serie trovo notevole anche la regia con inquadrature e movimenti di camera scelti con stile, soprattutto quando in campo c'e' Alicia con i suoi magnetici sguardi. 
Non c'e' che dire, quindi, una serie assolutamente da vedere dove gli effetti speciali e i colpi di scena stanno in una sceneggiatura di ferro con dialoghi intelligenti e mai soporiferi. Grande serie e dopo una prima stagione praticamente perfetta spero che la seconda non deluda.
Piccola curiosità' sulla breve sigla. Cambia dalla prima alla seconda serie e sottolinea l'acquisita forza e consapevolezza di se' della protagonista. Per chiudere una piccola nota di colore: secondo me Juliana Margulies porta una parrucca.

lunedì 2 gennaio 2012

Hunger di Steve McQueen

Quando la libertà viene tolta, quando la privazione della dignità umana è all'ordine del giorno l'unica arma di difesa e di offensiva è il proprio corpo. Utilizzare il proprio corpo per lottare e combattere per i propri ideali e per la giustizia.
Hunger il film di Steve McQueen è un film di lotta, un film dove i corpi guerrieri e sconfitti sono i veri protagonisti della storia. Il film narra la storia di Bobby Sands, il rivoluzionario nordirlandese che si è lasciato morire di fame in carcere nel 1981. Ma non ci racconta solo la sua storia ma anche quella di altri uomini che hanno lottato per quella causa e sono morti per essa. Ci racconta il carcere e le sue privazioni, il carcere e la sua dura repressione dei corpi, delle anime e delle persone. I corpi nudi dei prigionieri sono continuamente picchiati e umiliati dai secondini. Le armi di lotta in carcere sono lo sciopero della fame, lo sciopero della pulizia personale, insomma sono lo sciopero del corpo.
Il film ambientato nel periodo thatcheriano è un film duro che colpisce alla stomaco con un regista che alla sua opera prima ci mostra subito i muscoli. Tra le scene di maggior impatto c'è sicuramente il dialogo tra Bobby Sands e il parroco. Una lunga scena con camera fissa che non lascia via di scampo alle parole, un dialogo che è come un combattimento, eppure è l'unico momento del film dove i corpi sono apparentemente a riposo. Un altro aspetto interessante del film è l'utilizzo dei discorsi fuori campo della Thatcher che raccontano la posizione intransigente del governo britannico nei confronti dei prigionieri. In un momento particolare il discorso si va a sovrapporre ad un pavimento che viene lavato, come se le parole pulite e ordinate della Lady di ferro potessero pulire via il lerciume e il sangue delle botte.