sabato 17 marzo 2012

Animal Kingdom di David Michôd


Animal Kingdom è un piccolo film australiano che si rivela essere una potente storia di violenza e legami di sangue. Raccontato in un modo straniante rispetto ai soliti gangster movie, il film ti avvolge con le sue spirali, tra accelerazioni e frequenti rallentamenti. Quasi sempre l'azione è nella stasi e la storia si evolve lentamente con ritmo.
Il regno degli animali è quello della legge del più forte che costringe i più deboli a trovare una qualsiasi protezione pur di scampare ai pericoli della vita. Un film che parla di una famiglia, quasi mafiosa in apparenza, se non fosse che non c'è mai di mezzo l'onore nelle loro vendette ma quasi sempre c'è pazzia e follia nelle azioni di protagonisti.
Un ottimo e affiatato cast guidato da una bravissima Jacki Weaver e dal giovane James Frecheville. La prima interpreta una madre matrona che tira indiretta le fila della storia e degli eventi. Il rapporto con i figli è morboso e amorevole, un bilico che crea ancora più inquietudine. Il giovane attore che interpreta J invece riesce benissimo a rendere l'idea del personaggio perso in un mondo che non gli appartiene.
Un film assolutamente da recuperare impreziosito da una regia discreta ma efficace che sopratutto con la prima e l'ultima scena riesce a racchiudere in due immagini un film, una storia, una vita.

sabato 10 marzo 2012

An education di Lone Scherfig


Metti che una sera in TV programmano un film che non hai visto e che volevi vedere al cinema. Metti che quella sera non esci e riesci a vederlo dall'inizio ed ecco che scopri An education. Il film è scritto da Nick Hornby, la sua prima sceneggiatura per il cinema, e già questo dovrebbe rendere godibile il film e la sua storia. Infatti è proprio quello che succede.
An education è un film che scivola leggermente, e la sua visione risulta più che gradevole soprattuto grazie all'ottimo cast che s'integra perfettamente con la storia e la rende pienamente credibile nonostante gli sviluppi non sempre siano originali. Carey Mulligan in particolare riesce con pochi fronzoli ed eccessi a disegnare sullo schermo un personaggio che matura e cresce, non senza dolore e non senza errori. Incredibile questa attrice così simile eppure così lontana da Katie Holmes. In 3 film di Carey Mulligan che ho visto (Drive, Shame, An education) ho trovato tre donne, tre storie diverse, tre belle interpretazioni.
Emozionanti e irritanti allo stesso tempo la coppia di genitori perfettamente in sintonia con l'epoca in cui il film è ambientato. Altro pregio del film infatti e la rappresentazione leggera dell'Inghilterra degli anni 60. Il film infatti sceglie una piccola storia, un piccolo quartiere per raccontare le generazioni e i cambiamenti sociali imminenti.
Un piccolo film, una piccola storia, un ottimo cast per un film che racconta con leggerezza il cambiamento di un'epoca attraverso gli occhi e la storia di una ragazza.

giovedì 9 febbraio 2012

Shame di Steve McQueen


Non saprei dire se Shame mi sia piaciuto perché il film ha degli aspetti interessanti e altri meno. Questo non significa che sia una film altalenante, anzi ha una sua compattezza e una sua coerenza registica e narrativa. L'insieme pero' non mi ha folgorato, mi lascia perplesso. Se dovessi etichettarlo lo definirei un buon film che in parte si salva per la regia ma e' lontano dall'essere un capolavoro. 
Il film narra la storia di un uomo emotivamente solo, con una vita schematica e ordinata ai limiti della maniacalita'. Il sesso in questo contesto e' coerente con il resto della sua vita ed e' monotonia e ossessione. Il protagonista ha rapporti in gruppo, da solo, con donne e con uomini, reali e virtuali ma non c'e' mai uno slancio affettivo o un istinto passionale, c'e' solo la necessita' fisica di saziare il corpo. Quando tenta di avere una relazione normale non ci riesce, come se il suo corpo la rifiutasse.
Il corpo come nel precedente film del regista (di cui ho parlato qui) e' centrale, e' lo strumento e il mezzo per rapportarsi con l'esterno e in un certo modo diventa una trappola. Nel caso di Hunger diventa strumento di lotta politica, nel caso di Shame invece il corpo e' l'unico mezzo per intrattenere relazioni umane. L'unica relazione umana che apparentemente e' fuori da questa regola e' il rapporto con la sorella che irrompe nella vita del protagonista per scombinare la sua ordinarieta' e la sua monotonia. L'agente esterno che mette in crisi l'uomo e lo spinge verso l'abisso.
La storia viene narrata in modo impersonale dal regista, e' presentata senza una morale e senza un giudizio da parte di chi racconta. Una scelta giusta per un film con una storia come questa ma che potrebbe essere legata anche il limite più evidente del film. Il racconto, infatti, a tratti può risultare banale e superficiale. Il non detto può diventare un limite in un film ben confezionato come questo.
La storia e' illustrata da una regia veramente notevole che e' il punto di forza di questo film. Una regia con movimenti di macchina misurati e una composizione dell'immagine mai fuori posto. In particolare la scelta di tenere quasi sempre la macchina ferma durante i dialoghi e la bellissima scena con macchina fissa alle spalle dei protagonisti durante lo scontro verbale tra i fratelli e' affascinante e pienamente azzeccata. La loro storia, il loro passato e' oscuro e e quella scena di spalle sottolinea l'estraneità dello spettatore. La fissità dell'immagine nel dialogo invece pone l'accento sulla durezza verbale.
Gli attori sono entrambi bravi e convincenti in particolare mi ha sorpreso Carey Mulligan che finora avevo visto solo in Drive dove mi era piaciuta ma non avevo capito se fosse capace di altro. Guardando i due film invece l'attrice impersona due donne diverse, quasi agli antipodi, risultando convincente in entrambi i casi.

lunedì 6 febbraio 2012

Hugo Cabret di Martin Scorsese


Martin Scorsese nella sua lunga carriera ci ha abituato ad un genere di film che si discostano totalmente dal suo ultimo lavoro. Se penso a Quei bravi ragazzi, a Casinò, a Toro scatenato non posso pensare che sia lo stesso regista di Hugo Cabret.
Ovviamente il regista americano ha tutto il diritto di cambiare genere e fare quello che vuole però sarebbe stato bello vedere un film più robusto e meno blando nonostante le bellissime immagini. Quello che mi ha deluso maggiormente di questo film è il poco trasporto emotivo che provoca e che invece mi sarei aspettato da un film come questo. Quello che rimane è un film alla Spielberg senza l'occhio e lo spirito di Spielberg.
Ci sono alcuni guizzi registici e anche l'uso del 3D è notevole però manca quello che maggiormente ho sempre apprezzato in Scorsese. Mancano le emozioni che arrivano con i suoi film dove in gioco c'è la moralità dei protagonisti.
Hugo Cabret non è un film brutto, sia chiaro, è un film ben confezionato con bravi attori ma senza anima e ce ne vuole a fare un film senza anima quando si parla della storia del cinema e si parla di George Méliès. La ricostruzione dei film di Méliès, ad esempio, è più una ricostruzione da Luna Park che una ricreazione dell'illusione. Niente da fare l'emozione è assente.
Il progetto in sé poteva essere interessante. Un film 3D per celebrare uno dei cineasti più innovativi del cinema è una buona idea, in linea con il suo cinema. Anche fare un film per famiglie ha una sua coerenza perché sono i bambini che si perdono nel racconto e nell'illusione della fiaba cinematografica. Ben venga questo film solo per un motivo, potrebbe far conoscere il cinema delle origini alle nuove generazioni e magari chissà qualcuno tra loro potrebbe essere il nuovo Scorsese o il nuovo Méliès.

Approfitto di questo post e di questo film per ricordare George Méliès con uno dei suoi film più famosi "Le Voyage dans la lune"

venerdì 3 febbraio 2012

The Orphanage di Juan Antonio Bayona


The Orphanage è un film spagnolo del 2007 che da quanto ho letto ha fatto incassi straordinari in patria. L'ho recuperato tardivamente e devo dire che è un film che mi ha positivamente stupito, mi aspettavo un horror con tensione, colpi di scena ed effetti ad arte invece il film che ho visto si potrebbe definire un melodramma horror.
Il film di Bayona parte da premesse abbastanza classiche. C'è la casa infestata, il bimbo problematico, la madre apprensiva e il padre razionale. Il bambino scompare e da quel momento la trama si snoda attraverso le diverse problematiche della casa posseduta dai fantasmi. Arriva la polizia con il suo lato razionale, la medium con il suo lato emotivo-spiritico e si crea la dicotomia tra padre e madre. La madre sempre convinta che la soluzione sia all'interno della casa e non vuole mollare, il padre invece che cerca di  superare il dramma della scomparsa, razionalizzando.
Il vecchio orfanotrofio diventa il teatro di apparizioni, di ricerche e di macabre scoperte ma gli autori del film non cedono mai il passo ad effetti di serie b e tengono ben strette le fila costruendo visivamente un film elegante, ben girato e ben curato. Più la storia si sviluppa e il più il lato horror diventa secondario, lasciando il passo ad una struggente ricerca della madre che ha perso il proprio figlio. La fiaba dell'orrore lascia pian piano lo spazio ad una favola fantastica e soprannaturale dove i sentimenti guidano la narrazione. Uno strano film questo The Orphanage, emozionante e commovente. Una piacevole sorpresa. Da sottolineare che dietro la produzione c'è Guillermo Del Toro.
Il cinema spagnolo ci fa vedere da un po' di anni un cinema che rilegge alcune regole del cinema e le piega ad una nuova sensibilità. Questo riesce particolarmente bene con il cinema horror/fantastico. Un film come The Orphanage in mano ad una produzione americana probabilmente sarebbe andato sopra le righe molto spesso, vanificando l'emozione e quanto di buono si poteva creare. Hollywood comunque ne farà un remake con Del Toro che probabilmente farà parte della squadra.

venerdì 13 gennaio 2012

The Good Wife


Da qualche parte ho letto qualcuno che diceva che le serie tv sono i nuovi romanzi. Forse e' vero o forse no pero' come i buoni romanzi le serie tv posso creare assuefazione - chiedetelo a tutti i fan di Lost - ti fanno entrare nel loro mondo e i personaggi diventano quotidiani quasi amici. Per chi come vede le serie tv, non molte visto il livello medio di cui leggo in giro per il web, la ricerca della serie che t'imprigiona e ti lega al divano e' perenne.
Negli ultimi tempi l'ho trovata in The Good Wife, recuperata colpevolmente in ritardo rispetto alla messa in onda americana e a quella italiana. Siamo ormai giunti alla terza serie e io ho da poco cominciato la seconda dopo aver divorato la prima stagione.
Su Serialmente ci sono delle bellissime recensioni sulle puntate e ho letto in una di esse una cosa verissima: raccontare la trama di questa serie sminuisce decisamente la visione e non rende giustizia alla serie perché The Good Wife e' una grande serie scritta perfettamente con dei personaggi che vivono di vita propria.
La serie in poche parole parla della moglie dell'ex procuratore di Chicago che torna a fare l'avvocato dopo che il marito e' stato mandato in carcere accusato di corruzione. La serie segue le vicende dei diversi casi legali di Alicia (Juliana Margulies), della sua vita di moglie tradita, di madre e segue poi le vicende giudiziarie del marito. C'e' anche un triangolo ma non voglio svelare troppo e tutto e' inserito con cosi' tanta discrezione che non appesantisce la storia.
Personalmente non amo i legal drama pero' questo e' diverso perché le puntate, come invece spesso accade per le serie legal e crime, non seguono un format ripetuto. I casi sono tutti diversi e in diversi ambiti legali e sopratutto molto avvincenti, nella prima stagione onestamente non ho trovato neanche una puntata noiosa o banale. L'altro aspetto interessante poi e' che l'aspetto legale e' presentato da tutti i suoi punti di vista e non solo attraverso il semplice e scontato dibattito in aula. Si mostrano i retroscena, quello che avviene prima e dopo un processo e anche quello che avviene per non arrivare ad un processo.
Dal punto di vista morale la serie e' ricca di personaggi che vivono sul confine tra il bene e il male, agiscono non sempre in modo politicamente corretto e tutti alla fine cedono ai compromessi della carriera e del denaro oppure cedono semplicemente per salvarsi la faccia. Non ci sono ne' santi ne' eroi mentre l'etica e la  moralità sono sempre messe in discussione.
L'altro punto di forza della serie e' che la trama orizzontale e' perfettamente integrata in quella verticale e tutto scorre magnificamente anche grazie ad un cast e a delle sceneggiature di ferro. Nel cast oltre alla bravissima protagonista ce ne sono tanti altri molto bravi e l'investigatrice dello studio, l'ambigua Kalinda, ti tiene incollato allo schermo. In questa serie trovo notevole anche la regia con inquadrature e movimenti di camera scelti con stile, soprattutto quando in campo c'e' Alicia con i suoi magnetici sguardi. 
Non c'e' che dire, quindi, una serie assolutamente da vedere dove gli effetti speciali e i colpi di scena stanno in una sceneggiatura di ferro con dialoghi intelligenti e mai soporiferi. Grande serie e dopo una prima stagione praticamente perfetta spero che la seconda non deluda.
Piccola curiosità' sulla breve sigla. Cambia dalla prima alla seconda serie e sottolinea l'acquisita forza e consapevolezza di se' della protagonista. Per chiudere una piccola nota di colore: secondo me Juliana Margulies porta una parrucca.

lunedì 2 gennaio 2012

Hunger di Steve McQueen

Quando la libertà viene tolta, quando la privazione della dignità umana è all'ordine del giorno l'unica arma di difesa e di offensiva è il proprio corpo. Utilizzare il proprio corpo per lottare e combattere per i propri ideali e per la giustizia.
Hunger il film di Steve McQueen è un film di lotta, un film dove i corpi guerrieri e sconfitti sono i veri protagonisti della storia. Il film narra la storia di Bobby Sands, il rivoluzionario nordirlandese che si è lasciato morire di fame in carcere nel 1981. Ma non ci racconta solo la sua storia ma anche quella di altri uomini che hanno lottato per quella causa e sono morti per essa. Ci racconta il carcere e le sue privazioni, il carcere e la sua dura repressione dei corpi, delle anime e delle persone. I corpi nudi dei prigionieri sono continuamente picchiati e umiliati dai secondini. Le armi di lotta in carcere sono lo sciopero della fame, lo sciopero della pulizia personale, insomma sono lo sciopero del corpo.
Il film ambientato nel periodo thatcheriano è un film duro che colpisce alla stomaco con un regista che alla sua opera prima ci mostra subito i muscoli. Tra le scene di maggior impatto c'è sicuramente il dialogo tra Bobby Sands e il parroco. Una lunga scena con camera fissa che non lascia via di scampo alle parole, un dialogo che è come un combattimento, eppure è l'unico momento del film dove i corpi sono apparentemente a riposo. Un altro aspetto interessante del film è l'utilizzo dei discorsi fuori campo della Thatcher che raccontano la posizione intransigente del governo britannico nei confronti dei prigionieri. In un momento particolare il discorso si va a sovrapporre ad un pavimento che viene lavato, come se le parole pulite e ordinate della Lady di ferro potessero pulire via il lerciume e il sangue delle botte.