giovedì 27 ottobre 2011

Drive di Nicolas Winding Refn

Una scena del film
Il film racconta di un ragazzo che guida auto durante le rapine e su set cinematografici come stuntman. Il protagonista fa dei passi falsi che disturberanno i boss della zona e metteranno in pericolo la sua vita e quella delle persone a cui tiene. Una storia non originale ma raccontata con eleganza e con un punto di vista originale, intenso ed emozionante.

L'incipit del film e' bellissimo. Il protagonista si accorda per fare da autista durante una rapina. La rapina si svolge con qualche prevedibile imprevisto e lui impassibile e freddo svolge il suo lavoro fino in fondo come da accordi presi. La velocità delle auto s'intreccia con le strade notturne della città, i dettagli si mescolano alle riprese aeree. Una perfetta sintonia tra movimento e dettaglio. Un incipit che e' la giusta presentazione del film, delle scelte narrative che vedremo e dell'atmosfera che si respirera' durante la visione.

Un'altra scena in Drive mi ha colpito per la sua capacita' di sintesi. Nel loro primo incontro la protagonista femminile chiede al protagonista cosa fa nella vita e lui risponde che guida, poi dopo una pausa lei chiede se e' pericoloso e lui risponde di si. In questo breve ma intenso dialogo si raccontano molte cose sul protagonista e su quello che rappresenta. Un uomo che guida e non fa niente altro, un uomo a cui non e' permesso altro nella vita, un uomo che a suo modo diventa eroe anche perché lui semplicemente guida.

Queste due scene raccontano molto del film e del personaggio principale, il resto del film non fa altro che confermarcelo con cura nelle inquadrature, nella composizione dell'immagine e un affascinante uso della luce. In molte scene infatti la luce diventa astratta e sottolinea alcuni momenti importanti come la scena dell'ascensore e in tutta la parte finale. La luce disegna le scene, le rende vive e racconta la storia.

Oltre alle scene gia' citate ce ne sono altre da evidenziare, la scena dell'ascensore e la scena del night club. Nell'ascensore c'e' una vera e propria danza, una danza di luce, corpi, amore e violenza. All'opposto c'e' invece la fissita' della scena del night club, fissi sono i corpi delle ballerine nude con lo sguardo perso nel vuoto, fissa la posa di Ryan Gosling con il martello in mano inquadrato dal basso verso l'alto.

Un film che mi e' piaciuto molto con un ottimo cast e una bella colonna sonora. Ryan Gosling e' veramente una rivelazione. Era la prima volta che lo vedevo recitare e non mi aspettavo una cosi' bella performance. Anche tutti i personaggi di supporto sono bravi compresa Carey Mulligan la ragazza triste della porta accanto che fa bene la sua parte.





lunedì 17 ottobre 2011

American Life di Sam Mendes

Finalmente sono riuscito a vedere questo film di un paio di anni fa e devo dire che le mie aspettative erano all'altezza del film: American Life mi e' piaciuto molto. Ho trovato il film divertente, brillante, intelligente nel racconto, sobrio e con due protagonisti credibili e simpatici. Devo ammettere che in questo caso c'e' stata molta immedesimazione nei protagonisti coetanei, che hanno problematiche e dubbi che mi appartegono e per questo il loro viaggio mi ha emozionato. Uno di quei film che magari non passeranno alla storia ma che rimangono impressi, come rimangono impressi Burt e Verona, cosi' insicuri, cosi' indecisi ma innamorati e amanti della vita.

La storia e' quella di una coppia che aspetta un bambino che va alla ricerca della loro casa. La casa in questo racconto non e' un luogo fisico ma un luogo emozionale, di crescita, il fondamento della loro vita come famiglia. In questo loro percorso incontreranno diverse coppie, diversi modi di vivere la famiglia e l'essere genitori. La galleria di personaggi alterna il divertente, le macchiette lasciando spazio anche alla riflessione. Alla fine i due futuri genitori sceglieranno la loro strada e quella che e' soltanto loro come e' giusto che sia.

E' un film leggero e profondo. Un film dove la regia e' sobria e non invadente, dove i dialoghi sono misurati eppure decisi e puntuali. La scena delle promesse sul tappeto elastico, una sorta di matrimonio virtuale, e' bellissima per quello che i due si dicono e per quello che puo' significare per una coppia. In fondo una relazione, un matrimonio, una convivenza funziona anche se c'e' il giusto scambio di promesse esplicite e implicite e se le scelte sono quelle della coppia e non degli altri.

La scena delle "promesse"

C'e' da ricordare che il regista e' un certo Sam Mendes che ci ha regalato film come American Beauty e Revolutionary Road. Ma qui abbandona la sua tagliente visione della famiglia per portarci probabilmente piu' vicini alle emozioni famigliari di Era mio padre, ovviamente con toni da commedia.

Una piccola nota sul titolo originale Away we go, decisamente piu' in linea con il racconto, con lo spirito e con le emozioni del film.

venerdì 14 ottobre 2011

La pelle che abito di Pedro Almodóvar

Una scena del film
La pelle che abita e' l'ultimo film di Pedro Almodóvar, un film teoricamente di genere, un thriller che segue l'altro strano thriller del regista, Gli abbracci spezzati. E' un film che rivisita il mito di Frankenstein ma che con Almodóvar prende tutta un'altra piega.

Il film e' girato con molta eleganza, il regista non lascia al caso nessuna inquadratura e nessun movimento di camera. E' un film che avvolge e seduce. Almodóvar pero' non va mai sopra le righe e nonostante in alcuni momenti possa sembrare un film di Cronenberg, rimane sempre il film di un autore che ha dato nuova vita al melo'. Il regista non e' per le scene ricche di tensione e di claustrofobia anche se a volte si respira un'aria morbosa che potrebbe a mio avviso essere anche piu' spinta.

Il film e' decisamente superiore a Gli abbracci spezzati che non mi aveva convinto del tutto per la sua storia un po' confusa. Sembra pero' che quel film sia stata la palestra per il regista per creare La pelle che abito. L'impressione e' che con il precedente film il regista abbia sperimentato alcune idee meglio concretizzate in quest'ultima pellicola. 

Il corpo, la pelle come identita' e come inganno, la vendetta e l'amore folle sono le tematiche principali del film, illustrate da Almodóvar attraverso citazioni artistiche, come le bellissime sculture di Louise Bourgeois o i quadri che adornano la bellissima casa del protagonista.

La pelle che abito, nonostante le apparenze, e' un film di Almodóvar perche' ritroviamo qui tutte le sue tematiche e nonostante l'eleganza della messa in scena e della regia ci ricorda in diversi momenti che e' sempre il regista spagnolo che si e' fatto conoscere con i suoi film piu' folli. Il personaggio dell'uomo tigre, alcune battute e in parte il finale lo fanno venire allo scoperto.

Nel complesso e' bel film, godibile, con una bellissima Elena Anaya e un Antonio Banderas mai fuori le righe, un thriller nella storia ma ma non nel ritmo. Per il mio gusto personale, in un film del genere manca un po' di gelida cattiveria.

Una scena del film


venerdì 7 ottobre 2011

Fotografia - Festival Internazionale di Roma 2011

Il Fotografia Festival di quest'anno l'ho trovato deludente. Mi riferisco alla mostra principale che si tiene in questi giorni a Roma al Macro Testaccio. Negli ultimi anni a mio parere il Festival ha perso il suo smalto iniziale dove riusciva a proporre fotografi interessanti e progetti molto coerenti intorno al tema scelto. Tra le ultime edizioni forse la piu' interessante e' stata quella al PdE di un paio di anni fa dove si e' tentata la strada del multimediale. Interessante strutturalmente ma decisamente portatrice di fruibilita' distratta, cosa che non fa bene alla fotografia.
Sono ormai storia i tempi in cui esponevano i grandi Koudelka e Salgado e l'anno in cui ho scoperto Martin Parr. Dei bravi fotografi conosciuti gli scorsi anni in questa edizione rimangono in un angolo le belle foto di Anders Petersen, con le sue foto forti con un bellissimo bianco e nero.
Il Festival mi sembra che abbia poche idee, pochi spunti interessanti e poche belle fotografie. Colpa dei tagli che il festival ha subito? Colpa della mancanza d'ispirazione o e' semplicemente un segnale dello stato della fotografia?
Il sovraccarico di fotografie che subiamo tutti i giorni, la digitalizzazione dell'immagine hanno cambiato definitivamente la prospettiva con la quale guardiamo le foto. Uno dei pannelli della mostra, non ricordo chi era che lo diceva, sosteneva che e' finito il tempo dei fotografi alla Cartier Bresson, il tempo del "Momento decisivo". Secondo me in parte e' vero perche' il digitale ha rivoluzionato il concetto di attimo e d'istante in fotografia.
L'altro aspetto che sempre della fotografia mi ha deluso negli ultimi anni e' l'uso del colore. Sopratutto nella fotografia cosidetta artistica c'e' poca sperimentazione sul colore in favore dell'utilizzo del bianco e nero, sempre banalizzato e sempre troppo scelta ovvia e facile.
In questa edizione ovviamente non e' tutto da buttare ma ci sono dei fotografi che mi hanno colpito e a parte Alec Soth sono tutti orientali o medio-orientali. Le foto degli orientali vanno al di la' del semplice istante ma scavano ed esprimono.
Comincia dall'unico "occidentale" che mi ha colpito oltre alla conferma di Petersen.

Alec Soth  
Sono interessanti e affascinanti i suoi ritratti. Mi sono piaciuti i suoi colori, il suo citazionismo e il gusto per la composizione. Uno sguardo interessante.  


Lieko Shiga
Quello che ho preferito. Sperimenta con l'immagine e va oltre il visibile, trasmette sensazioni. Va oltre il semplice scatto e la fotografia diventa contemporanea, realmente digitale e immaginaria. Quando la fotografia non puo' essere raccontata. Le sue atmosfere ricordano David Lynch. A questo link potete vedere i suoi lavori e perché no, magari comprare una sua opera.


Mayumi Hosokura
Straniante e surreale. Le sue immagini sono immaginarie e sospese...eppure reali.


Asako Narahashi
Mi e' piaciuto per il suo punto di vista originale. Foto a pelo d'acqua


Rinko Kawauchi
Lui anche sperimenta con la fotografia e con la luce, rendendo eterea e immateriale l'immagine.


Rania Matar
Classica ma interessante perche' ci mostra un mondo che conosciamo ancora troppo poco, quello arabo. Lo fa con classicita' ma con una bella e originale composizione dell'immagine.


mercoledì 5 ottobre 2011

A Dangerous Method di David Cronenberg


L'ultimo film di David Cronenberg l'ho trovato deludente, non perché sia un brutto film ma perché l'ho trovo un debole film del regista. Cronenberg mi ha sempre abituato a film dove l'intensità della storia, dei temi e del trattamento erano ad alti livelli mentre qui ho trovato un biopic a tratti didascalico che non aggiunge molto alla storia già nota di Jung e Freud.

Mi ha deluso perché in fondo Cronenberg ha sempre parlato di queste tematiche nei suoi film, con metafore e racconti estremi da mozzare il fiato come in Crash, aveva parlato anche della malattia mentale con Spider e lì era riuscito a creare un film asfissiante e angosciante. Questo film, invece, nonostante le forti tematiche non va oltre il racconto delle vite dei protagonisti, con una regia abbastanza sottotono e non ricorda neanche lontanamente la gelida freddezza e crudeltà di A History of Violence e de La promessa dell'assassino. 

La storia è quello della passione di Jung per Sabrina Spielrein, la prima paziente con la quale il famoso psicologo utilizza le tecniche della psicanalisi, la cura delle parole. Il film ci racconta anche il rapporto maestro discepolo tra Jung e Freud, la loro iniziale sintonia e la loro rottura. 

Il film alterna gli affascinanti incontri/scontri tra Jung e Sabrina e gli scambi epistolari e di persona tra Jung e Freud. Jung passa dal ruolo di medico a quello inconsapevole di paziente, continuamente alla ricerca di se stesso in tutto il film. Mentre Freud e la sua autorità vacillano raramente nel corso della storia e mentre la paziente Sabrina trova se stessa e la sua libertà, Jung è quello più debole fino ad arrivare all'esaurimento nervoso. Un personaggio complesso che è ovviamente il cuore film, anche grazie alla bella interpretazione di Michael Fassbender