giovedì 16 ottobre 2008

Kind of Blue compie 50 anni

Non e' semplice per me descrivere la musica, le emozioni e le sensazioni che mi trasmette. Posso solo dire che Kind of Blue e' il primo album Jazz che ho comprato, da li' ho scoperto tutto il resto e ogni volta che lo riascolto lo trovo familiare e confortante, un buon disco in cui rifugiarsi...strano a dirsi.

E' d'obbligo elencare la formazione:

Miles Davis - tromba
Julian "Cannonball" Adderley - sax contralto, ad eccezione di Blue in Green
John Coltrane - sax tenore
Wynton Kelly - pianoforte, soltanto in Freddie Freeloader
Bill Evans - pianoforte
Paul Chambers - contrabbasso
Jimmy Cobb - batteria

So What e' un classico e il brano che preferisco, mi sembra giusto celebrare i 50 anni di questo album con lei...

domenica 28 settembre 2008

Burn After Reading dei fratelli Coen

Intelligence is relative


Burn After Reading dei fratelli Coen riesco ad accomunarlo più facilmente a Non è un paese per vecchi piuttosto che alle loro commedie. Nonostante siano due film agli antipodi, uno comico l'altro drammatico, parlano entrambi a loro modo degli Stati Uniti.
I Coen raccontano in modo grottesco e quasi demenziale un'America ricca di contraddizioni che rasentano la comicità involontaria. L'apparenza e la ricerca della perfetta forma fisica, la notorietà e il successo, il controllo governativo un pò allo sbando, la violenza gratuita, le ossessioni e le perversioni sessuali. Il film riesce a raccontare con tono leggerissimo tutto questo senza essere mai banale e soprattutto lateralmente, intrecciando personaggi e storie che alla fine troveranno un filo comune.
Tra tutti i film più comici dei Coen questo probabilmente è quello che mi ha fatto ridere di più anche grazie ad una serie straordinaria di attori che rendono il film credibile, divertente e mai macchiestico nel senso più banale del termine. L'idea che ho avuto è che tutti si siano divertiti a fare questo film ed è una sensazione che probabilmente arriva al pubblico. In altre mani e con altre facce sarebbe stato rischioso fare un film del genere, si sarebbe rischiata una becera demenzialità. Non è un caso forse che nella locandina del film i nomi degli interpreti abbiamo lo stesso peso del titolo del film. Clooney che con i Coen riesce sempre a dare il meglio di sè, mostrando la sua faccia peggiore; Brad Pitt che è esilarante e divertentissimo nel suo ruolo; Francis McDormand che è sempre una certezza e purtroppo poco visibile nel cinema americano; e poi John Malkovich e Tilda Swinton, sempre eccellenti nelle loro interpretazioni.
C'è chi i fratelli Coen non li ama e non li apprezza per niente, mentre io penso che attualmente siano tra i migliori talenti del cinema americano. Perfettamente inseriti nel meccanismo produttivo hollywoodiano ma capaci di creare film d'autore a tutti gli effetti.

domenica 7 settembre 2008

Cruel en el cartel...



C'è un voce che mi ha sedotto da subito nel tango: Adriana Varela. Da lei è cominciata la mia passione per il tango come musica. Una voce emozionante, sofferta e ricca di passione.
Afiches, è stato il primo amore...ricordo la canzone ascoltata quando la ballarono i miei maestri di tango Alex e Mimma. Un ricordo che non è sfumato, come quella voce che risuona spesso nelle mie orecchie.
Quando a luglio ho saputo che sarebbe venuta a Roma mi sono catapultato il giorno stesso a prendere i biglietti. Non avrei mai immaginato di poterla vedere dal vivo. Invece è successo. Il buio prima dell'inizio è emozionante. E' strano ma è da tempo che non provo questa emozione prima dell'inizio di un concerto. Siamo in quarta fila, quindi l'idea di vederla così da vicino alimenta la mia emozione.
Appare sul palco e riempie la scena. Il concerto inizia timidamente, nonostante la sua voce riempia la sala dell'Auditorium. Poi la sala si scalda, anche grazie agli argentini presenti, e l'energia di Adriana diventa incontenibile. Da Afiches cantata con i sussurri della chitarra a Malena dedicata a tutte le Mujeres in sala. Canta molti classici del tango come Mano a mano e Muneca Brava e alcuni brani originali scritti per lei da amici che scrivono tango e non sanno di saperlo. Brani che cantano l'amore e il dolore dei desaparecidos. Ogni brano è trascinato dalla sua interpretazione sul palco: cammina lungo il palco, si piega, si contorce, esprime tutte le parole con la fisicità energica dei popoli latini. Ha uno sguardo che arriva dritto a te quando canti, ti trafigge.
Il timido pubblico viene coinvolto e stuzzicato dall'energica Adriana che racconta i tanghi che interpreta e che bacchetta il pubblico perchè il coro di Volver non è all'altezza. Il pubblico si scalda e canta le strofe di Volver come fossero di tutti. Un brano intenso e struggente, un'interpretazione che commuove. Poi il classico di Adriana Como dos extranos, cantato dal pubblico e da noi come se lo spagnolo fosse la lingua di tutti.
Un'emozione questo concerto, un'emozione unica che lascia un ricordo straordinario e che mette anche una straordinaria voglia di ballare. Dopo il concerto c'è la milonga e le gambe si muovono e nel cuore rimane il ricordo di una cantante straordinaria.

sabato 9 agosto 2008

Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan


Il nuovo Batman di Christopher Nolan è decisamente superiore a Batman Begins come probabilmente è superiore ai capitoli conclusivi di Joel Schumacher della precedente serie. Con questo nuovo capitolo compete con i bellissimi episodi di Tim Burton. Tim Burton aveva con intelligenza, eleganza e humour grottesco portato sullo schermo le tavole del fumetto. Quello di Burton si può ormai definire un classico e proprio per questo motivo rimane sempre un termine di confronto ma diventa anche un esempio da superare.
Nolan gioca su un nuovo livello e rende il confronto quasi impossibile. Il "nuovo" Batman di Nolan è cinematografico, nasce al cinema e si alimenta dei generi cinematografici. Il fumetto è forse un'ispirazione per la nuova serie ma non è una parte determinante. Il gangster movie e il raffinato cinema d'azione sono le fonti d'ispirazione principali. E' un Batman che vola ma è reale. Non abbiamo a che fare con un supereroe e con dei villain grotteschi ma c'è la criminalità, la mafia, la morte e il dolore. I cattivi sono pazzi criminali tormentati dal dolore.
Batman stesso è una figura negativa, osteggiata da tutti. Un eroe che non si può definire tale. Una doppia identità che gli va stretta e che lo fa soffrire. Lo fa soffrire al tal punto che cerca di emanciparsi dalla lotta contro il crimine e cerca un sostituto più istituzionale. Il confronto tra il giustiziere mascherato e il giustiziere in giacca e cravatta (Harvey Dent) è affascinante. E' interessante il tema della giustizia legale e di quella "illegale".
Ovviamente la vera forza del film sta nel personaggio di Joker. Si è parlato e scritto molto su questo personaggio. Si è cercato di paragonarlo a quello di Jack Nicholson, ma come il Batman di Burton e di Nolan sono difficilmente paragonabili anche i 2 joker lo sono. Quello di Heath Ledger è una straordinaria prova d'attore, una trasformazione e un'immedesimazione che fanno venire i brividi. Il Joker di Ledger è pura follia, è caos e anarchia. Il Joker di Nicholson è un dandy pazzo e pericoloso, ricco di stile e di humour nero. Non riesco a sceglierne uno dei 2, anche se il Joker di Ledger riempie lo schermo ed è veramente agghiacciante. In alcune scene, come quella dell'ospedale, il film con lui raggiunge vette altissime. Era molto tempo che al cinema non si vedeva un villain di questo livello.
C'è un'altra grande protagonista in questo film: è Gotham City. Città sempre ai margini della legalità, dalla criminalità dilagante. Una città sfiancata, popolata di persone terrorrizzate. Nolan riesce a creare un'atmosfera d'incertezza in questa città che fa perfettamente da sfondo al racconto del film, ai criminali e ai giustizieri.
Anche dal punto di vista stilistico Nolan supera il suo Batman precedente. Fantastiche riprese aree, piani sequenza da brivido e una sequenza iniziale da spavento con la rapina da parte di Joker alla banca della Mafia. La colonna sonora decisamente elegante e poco invadente confeziona un film notevole, decisamente al di sopra della media dei film del genere e della produzione hollywoodiana contemporanea. Tutto questo conferma Nolan un regista che alterna film d'autore e blockbuster senza perdere il suo smalto e la sua intelligenza.

lunedì 28 luglio 2008

Re-Vision: Eternal Sunshine of Spotless Mind



Il cinema riesce ancora ad essere magico. Sembra che non ci voglia molto. Sono sufficienti una storia d'amore non banale, tenera ed emozionante...un paio d'attori ispirati...un regista che vuole fare il suo cinema senza dimenticare il pubblico.
Eternal Sunshine ha tutti questi ingredienti e molto di più. Non sono ingredienti semplici da trovare nel cinema. Non è semplice che ad una seconda visione il film comunichi le stesse emozioni della prima volta. Gli stessi brividi e la stessa pelle d'oca.
La trama del film non è lineare ma la scrittura riesce a renderla fruibile e intensa. Un racconto che fa un percorso inverso. Ci fa scoprire l'inizio alla fine del film. L'uso degli effettivi visivi è ben calibrato e mai eccessivo.
Gondry è un regista affascinante che riesce a trasformare tutto in magia. Le interviste e il backstage del film ci mostrano un regista che vuole fare il proprio cinema, con le proprie idee e i propri mezzi. Non sceglie la via più semplice e immediata ma la sua strada, il suo modo. E' bello sentir parlare un autore cinematografico che ancora riesce a vedere oltre le sedimentate regole della tecnica cinematografica. Il modo in cui visualizza lo svanire dei ricordi è poco tecnologico e d'impatto.
Di solito non sono contro la tecnologia al cinema, anzi...però vedere che esistono soluzioni e giochi visivi che rendono al meglio senza la post produzione dà valore alla tecnica cinematografica. Il cinema è racconto e tecnica e solo quando il racconto è magico e la tecnica diventa personale il cinema può diventare arte e poesia...Gondry con questo film ci riesce in pieno, trasforma le immagini del film in ricordi ed emozioni...l'immagine si sgretola, ma il ricordo cerca di resistere in tutti i modi...poi alla fine arriva il cuore che tutto ricostruisce e tutto conserva...per non perderla mai. In fondo è questo il senso del film.

sabato 26 luglio 2008

I milanesi ammazzano il sabato



Interrompo il mio lungo silenzio dovuto alla mancanza d'ispirazione per parlare degli Afterhours e del loro concerto all'Auditorium.
Quando è uscito il loro ultimo album I milanesi ammazzano il sabato ero rimasto un pò deluso perchè la loro musica non suonava alle mie orecchie ai livelli dei precedenti lavori. Immaginavo però che dal vivo sarebbe stato un gran bel sentire, sembrava un suono che imprigionato nelle cuffie dell'ipod o nelle casse dello stereo fosse sprecato, ridotto e sicuramente non apprezzabile al meglio. In realtà è stato così.
Il concerto all'Auditorium di Roma è stato fantastico. Dopo due anni che non riuscivo a vederli dal vivo ho trovato una band al suo meglio, dove ogni componente era ai massimi livelli e aveva un proprio carisma e una propria carica da trasmettere al pubblico.
La situazione iniziale era un pò atipica per un concerto degli Afterhours. Posti a sedere e ragazze che ti accompagnano al posto. Una situazione che strideva un pò con il variegato pubblico e sopratutto perchè si è abituati a sentire la loro musica in centri sociali e in situazioni molto più informali.
Consapevoli di questo, gli Afterhours hanno deciso di stravolgere le regole e hanno cominciato il loro concerto in mezzo al pubblico della tribuna della Cavea. A sorpresa sono entrati e si sono sparsi nel pubblico per cantare dei loro ormai classici con un sapore più acustico. Il concerto è poi proseguito nei canoni tradizionali, con loro sul palco, con sofisticati arraggiamenti dei loro vecchi pezzi e di quelli nuovi. Tra violino e fiati che però erano continuamente distorti. Sembrava un pò un omaggio alla location del concerto...a modo loro.
Nella seconda parte del concerto sono saliti sul palco carichi, ricchi di energia e sono venuti fuori gli Afterhours di sempre. Carichi di rock e di elettricità, con un Manuel Agnelli in grandissima forma. A quel punto il pubblico che fino a quel momento aveva cercato di essere composto non ha resistito e si è riversato a ridosso del palco per cantare e ballare...compreso me ovviamente.
Classici dei loro concerti suonati e cantati al meglio e c'è poco da aggiungere a Male di miele in 2 versioni, 1996 che adoro, Verità che ricordavo e tante altre.
I pezzi del nuovo album hanno suonato a meraviglia. Tarantella all'inazione è stata un'esperienza fantastica dal vivo come E' febbre e Riprendere Berlino. Ci sono brani che a mio parere diventeranno classici da live come Neppur carne da cannone per Dio e Tutti gli uomini del presidente, brani quest'ultimi che non suonavano a meraviglia nell'album in studio.
Mi mancava un concerto del genere. Mi mancava l'energia e l'adrelina della musica rock live. Quell'energia che quando finisce il concerto non ti farebbe mai smettere di ascoltare musica fino all'alba e forse oltre.

giovedì 5 giugno 2008

Il Divo di Paolo Sorrentino

Il film di Paolo Sorrentino parla di un uomo, di un politico e di una classe politica. Lo fa attraverso un attore, Toni Servillo, che si cala perfettamente nella parte e riesce a diventare Giulio Andreotti senza rischiare la caricatura o la macchietta. Un attore che in questi ultimi anni mi e' piaciuto molto nelle sue diverse interpretazioni, sempre attento a non eccedere, a non andare mai sopra le righe ma senza neanche rimanere piatto e monocorde come spesso succede a molti attori del cinema d'autore italiano. 
Il Divo riesce nella primissima parte a tenerti incollati alla sieda con un ritmo sostenuto, quasi tarantiniano. Grottesco e coraggioso nell'affrontare temi scottanti della nostra storia recente. Sorrentino ha uno stile riconoscibile ma che non diventa un format ripetitivo, anche perche' sceglie sempre temi molto diversi da affrontare. 
Nonostante questi aspetti positivi il film non mi ha convinto. Merita sicuramente una seconda visione, perche' a mio parere si perde nella seconda parte, dove il cinema diventa piu' politico, dove il lato grottesco e' reso dalla realta' e non dalla rappresentazione della stessa. La parte finale del film e' appesantita da troppe spiegazioni e troppa cronaca. L'altro aspetto che mi ha poco convinto e' stato il racconto dell'uomo Giulio Andreotti, un racconto troppo criptico e poco chiaro. 
La parte che ho preferito del film e' quella dedicata alla descrizione della classe politica italiana del periodo. Un'insieme di persone poco raccomandabili che cercano in tutti di emergere e di farsi strada. Molto riuscita la parte di Cirino Pomicino e tutta la sequenza dedicata all'elezione del Presidente della Repubblica. 
L'impressione che mi e' rimasta del film e' quella di un racconto discontinuo e non compatto, dove i diversi frammenti a volte non riescono ad integrarsi. E' probabilmente una cosa voluta ma mi ha lasciato perplesso e non mi rimane che dedicare un'ulteriore visione a questo film che nostante tutto, insieme a Gomorra, riesce ad alzare il livello qualitativo dell'ormai quasi agonizzante produzione cinematografica italiana. 

martedì 27 maggio 2008

Gomorra di Matteo Garrone

Il nuovo film di Matteo Garrone è un film che non riesce a strapparti facilmente al silenzio una volta finita la proiezione. Gli applausi sono timidi in sala, molto probabilmente perché lo shock c'è ed è forte.
Garrone ha scelto di fare un film dove domina la realtà quotidiana di un mondo che sembra lontano e che invece è più vicino di quanto sembra. Sceglie d'intrecciare delle storie per mostrare i diversi livelli d'azione del braccio armato della Camorra. Il film non si perde in mille spiegazioni, non diventa mai didascalico, le uniche didascalie se le concede al termine del film e sono delle lame che trafiggono. 
Gomorra parla dell'azione e dell'inazione. Nel film c'e' piu' staticita' che azione, come a sottolineare lo stato delle cose, una situazione immutata e immutabile. Non parla d'onore e di rispetto, per quello ci pensa la Mafia. L'immagine della Camorra che esce da questo film è quella di uno Stato. Uno stato che commercia, che fa affari e dà assistenza "sociale". Uno Stato fatto di impiegati, ragionieri, operai e soldati. L'impressione che si ha non è quello di uno Stato italiano che ha fallito, ma di uno Stato che non c'è mai stato. La legalità in questo territorio è la Camorra.
Le case abitate di Gomorra sono teatro di lotte fraticide. Non si vede la Camorra che lotta con lo Stato ma che lotta contro sè stessa, come a mostrare l'ennesima prova di forza. Lo Stato quando arriva dimostra solamente la sua incapacità di agire. Arriva per fare delle retate che non concludono nulla o per testimoniare l'ennesimo regolamento di conti. Tutti i personaggi del film agiscono senza che gli ordini siano mai mostrati. Si muovono come se agire in quel modo fosse naturale, la legalita' e' quella. 
Matteo Garrone usa moltissimo il fuori fuoco per descrivere questa realtà che c'è ma non si vede o non si vuole vedere. Il regista come il suo solito riesce a creare un'atmosfera che tronca il respiro e non dà via di scampo. Le immagini del film son lame, pugni e schiaffi, sono colpi di proiettile. A tratti il film potrebbe ricordare il neorealismo ma solo in alcune scelte di linguaggio e di attori ma non nella sostanza. E' un film dell'Italia di oggi. Non è un film di denuncia che vuole educare ma è un film che vuole mostrare senza lezioni di storia o di morale. Il messaggio del film non è positivo, non lascia molti spiragli al cambiamento che forse si può trovare solo nelle poche persone che decidono e riescono a farla finita con quella vita.

martedì 13 maggio 2008

Le vertigini di Siena


Le scale a chiocciola che ci hanno portato sul passaggio panoramico del Facciatone del Duomo mi hanno fatto venire le vertigini. Purtroppo è dalla salita alla Sagrada Familia che non riesco più a controllare le vertigini, il salire sulle scale a chiocciola mi dà un senso d'instabilità.
Il week end a Siena è stato anche questo, le mie vertigini e il mio vedere una città (un grande paese) che respira con le sue contraddizioni, con le sue diverse anime.
Danno le vertigini non solo le scale a chiocciola ma anche le bellezze artistiche e l'affascinante Piazza del Campo, con la sua originale geometria per una piazza cittadina. Un piano inclinato che converge verso il potere politico e forse anche religioso, si dice sia il manto della Madonna che accoglie e tutti protegge. La Madonna protettrice e onnipresente a Siena. In ogni angolo di strada, in ogni pala d'altare dorata e decorata, in ogni tempo, in ogni luogo.
E poi c'è il Medioevo con i suoi riti e le sue contrade. C'è quel Palio così fortemente sentito, che dà le vertigini ai senesi. Scene isteriche e scorci affascinanti di bandiere che si lasciano accarezzare dal vento. Il corteo passa per le strade ma è come se fosse invisibile. Ci fermiamo a vederlo, c'è trasporto nei senesi che vi partecipano ma intorno c'è poco altro. Rimane la Siena che parla quasi esclusivamente inglese. Rimangono i fiumi di turisti. La Siena dove il privato governa l'arte, e dove quando il pubblico c'è rimane un museo saccheggiato da mostre internazionali.
Dà le vertigini questa Siena. Strana sensazione da pensare a posteriori per una città come questa. Rimane un week end che rigenera e che ci riporta a quello che dobbiamo essere e fare in realtà. Mi è servito e ci è servito.

venerdì 2 maggio 2008

W il Cinema italiano...forse

La scorsa settimana ho visto un bellissimo e inquietante film di Elio Petri Todo Modo. Come sempre Petri è un autore che mi lascia senza parole...non sono riuscito a scrivere una riga su quel film e sulla bellissima interpretazione di Gian Maria Volontè. Lascio a chi ne avesse voglia di scoprire se già non lo conosce un autore straordinario come Petri, unico nella sua interpretazione dell'Italia che è stata...e che forse ancora è.
Navigando in internet questi giorni ho trovato due trailer molto belli. Due film italiani in concorso a Cannes di due registi che al momento a mio parere sono probabilmente il meglio che la nostra cinematografia offre. Certo niente di paragonabile a Petri, se non altro per lo stile. Nel caso di Sorrentino e Garrone c'è la ricerca di una nuova via al cinema italiano con storie che vogliono raccontare l'Italia con uno stile nuovo per il nostro cinema. I trailer promettono molto. Sono inquietanti e ricchi di atmosfera, non sembrano neanche trailer italiani. Speriamo bene nella riuscita dei due film.


Il divo di Paolo Sorrentino



Gomorra di Matteo Garrone

lunedì 21 aprile 2008

Tutta la vita davanti

Paolo Virzí mi é sempre piaciuto. Certo ha avuto i suoi cali ma ha prodotto alcune commedie veramente speciali secondo me (Ferie d'agosto, Ovosodo). Si parla molto di lui accostandolo alla commedia all'italiana e in parte é vero, anche se i tempi d'oro del cinema italiano sono lontani perché purtroppo un autore non fa una generazione e il panorama italiano a mio parere é abbastanza desolante. Sono troppo pochi i film degni di nota.
Tutta la vita davanti di Paolo Virzí é un bel film, dolce a amaro come amano dire i critici. Ti strappa la lacrima e la risata. Il film é un racconto iperbolico che volutamente accentua i caratteri grotteschi di questa societá e delle persone che la compongono. Il tono é sopra le righe anche se a pensarci bene é l'Italia ad essere sopra le righe in questo particolare periodo. Non é un film sociale o di denuncia, ma con il tono della commedia nera e amare il film riesce a raccontare il presente, colpisce nel segno. A molti non piacerá perché apparentemente troppo poco impegnato o perché non perdona nessuno, anzi difende e racconta anche chi di solito non viene mai considerato dal cinema italiano.
Nel film i personaggi sono veramente riusciti, tutti bravi gli attori a disegnare un contesto sociale grottesco, surreale e alla deriva. Su tutti c'é Sabrina Ferilli che quando lavora con Virzí mi convince, giá in Ferie d'agosto era stata molto brava e qui il personaggio sembra che faccia per lei. Si riesce a vedere sempre il personaggio in tutto il film e mai l'attrice che le sta dietro. La protagonista Isabella Ragonese poi é molto brava a disegnare il ritratto di una generazione persa e spaesata. La mia generazione.
Questo aspetto generazionale devo ammettere che ha favorito il mio giudizio positivo sul film e il mio coinvolgimento emotivo. Ci sto dentro a questo film. Ci sono dentro i miei amici, i miei conoscenti, i miei ex compagni di universitá. Ci sono dentro le persone che incontri tutti i giorni, quelle con cui fai i colloqui, quelle con cui lavori e hai lavorato. Per chi vive in prima persona questa situazione, il film puó risultare molto doloroso.

mercoledì 16 aprile 2008

L'ultimo re di Scozia

L'ultimo Re di Scozia racconta la storia dell'incontro tra un giovane medico occidentale idealista che decide di partire per l'Africa e il dittatore ugandese Idi Amin Dada. E' il racconto di un rapporto privato tra un occidentale che viene attratto dal carisma del militare che ha governato in Uganda dal 1971 al 1979. La situazione politica e sociale dell'Uganda di quegli anni é solo lo sfondo molto sfocato della storia.
Uno degli aspetti piú interessanti della storia é l'invaghimento dell'occidente per un popolo altro, attraverso il suo leader. Il medico arriva in Africa e con gli occhi dell'occidente giudica il nuovo leader come portatrice di bene. Una delle sequenze piú belle del film é la prima apparizione del leader sulla scena quando il medico lo vede per la prima volta tra le ovazioni del popolo. Il giovane medico ne viene abbagliato, in tutta la prima parte é come se vivesse sotto ipnosi, allucinato dall'apparente splendore del governo militare.
Il film che ne esce é per certi versi interessante e godibile. E' una storia di fiction con un attore straordinario che interpreta in modo egregio l'intimitá e la personalitá del dittatore militare. La storia peró vive troppo su questa intimitá che in un certo senso sminuisce l'orrore provocato in Uganda da Amin. Il film quindi non va considerato come un film di denuncia ma una storia dell'incontro tra due persone dal quale nasce un rapporto morboso, allucinante e distruttivo.
E' comunque un film da vedere sopratutto per godersi l'interpretazione di un grandioso Forest Whitaker, un attore che riesce sempre a costruire dei personaggi indimenticabili, Ghost Dog e Bird su tutti.

martedì 15 aprile 2008

...


domenica 16 marzo 2008

Re-Vision: Il silenzio degli innocenti


Sono pochi quei film che ad ogni visione sono sempre perfetti. Pellicole che non perdono il loro smalto. Il silenzio degli innocenti è uno di questi. Ho perso il conto delle visioni che ho fatto di questo film e ogni volta riesco ad immergermi completamente nel fluire della storia.
E' un film perfetto quello di Jonathan Demme. Non c'è inquadratura, non c'è movimento di macchina, non c'è taglio di montaggio che sia fuori luogo. Ogni dettaglio della narrazione e della messa in scena fa sì che ogni visione sia come la prima. Quando un prodotto cinematografico riesce a creare la suspense, la tensione nello stesso punto ad ogni visione, è un prodotto cinematografico eterno, anche perché fonda un genere.
La storia si conosce a memoria ma è come se ogni volta il regista ti permettesse di dimenticare quello che si è provato nel vederla. La storia è nota ma le emozioni sono sempre nuove. La tensione della corsa iniziale di Clarice si trascina in tutto il film. E' come se lo spettatore affannasse alla ricerca della soluzione finale, ogni volta. Ogni volta stupiscono quei movimenti di macchina che ricreano i ricordi di Clarice. Quello storico montaggio alternato che crea la suspense durante la scoperta del covo del serial killer. Quelle inquadrature che rendono poetico un cannibale come Hannibal Lecter. E' questo Il silenzio degli innocenti, un sinfonia. Morbidi movimenti che ti avvolgono. Due interpreti straordinari si prestano a regalare al cinema una delle visioni più claustrofobiche e sensuali dell'orrore dell'omicidio.

mercoledì 12 marzo 2008

Ardecore

E' strano come a volte si scopre la musica. Si balla il tango in una fantastica serata dove la musica è anticonvenzionale e cominci ad ascoltare un brano cantato in romanesco, Sinno me moro. Conosco il brano a memoria e lo canto tutto mentre lo ballo. Ha un arrangiamento bellissimo, un tango noir lo definiscono altrove, un tango sporco, romano e low-fi. Scopro che questa bellissima versione del brano è opera degli Ardecore, un gruppo che in questi ultimi anni ha riscoperto la musica popolare romanesca e la ripropone con nuovi arrangiamenti sempre mantenendo lo spirito doloroso delle canzoni drammatiche tipiche della musica popolare romana. Hanno inciso due album Ardecore e Chimera.
Il primo è un album molto bello ed è un vero e proprio viaggio nelle canzoni romane. Si respira la Roma che deve essere stata ma raccontata con le atmosfere musicali dei nostri giorni. Ci sono i barcaroli, le madonnine, i carcerati e il Tevere.
Poi c'è Chimera, l'ultimo album. Musicalmente lo trovo migliore del precedente perché in questo caso gli Ardecore hanno avuto il coraggio di superare la tradizione e riealaborla, incidendo brani che hanno il sapore della Roma sparita ma ci sono anche inediti. Drammi e sentimenti ricchi di malinconia sono gli stessi ma il sapore è contemporaneo.
E' un progetto interessante quello degli Ardecore, diciamo che mi mancava una musica del genere, incosciamente la volevo e casualmente l'ho trovata. Volevo in qualche modo recuperare la romanità della musica cantata dalla splendida voce di Gabriella Ferri. Per quest'ultima ci vorrebbe un altro post e forse un giorno arriverà.

venerdì 7 marzo 2008

Anna Magnani. 7 marzo 1908 - 7 marzo 2008

E' un volto. E' una voce. E' una risata. E' uno sguardo scuro e penetrante, ricco di malinconia.
Appartengo ad un'altra generazione ma sono cresciuto con lei. Con Nannarella. Mia mamma si chiama Anna ed è romana, mia nonna materna e romana è nata nel suo stesso anno. Forse anche per questo la Magnani con la sua scura romanità mi affascina da sempre. E' come se l'avessi conosciuta, un'amica di famiglia. Non riesco a non emozionarmi nel vederla recitare e cantare.
Per ricordarla e per non dimenticarla. Anna Magnani. Perché se Roma è una donna è decisamente lei.

giovedì 28 febbraio 2008

Non è un paese per vecchi di Ethan e Joel Coen

C'è un aspetto dell'ultimo film dei Coen che mi ha colpito molto: la musica. Anzi dovrei dire l'assenza di musica, l'assenza di una colonna sonora. Questo particolare mi ha fatto riflettere su due aspetti. Senza la musica è come se il regista fosse solo con le sue immagini, con i suoi movimenti di macchina, con le sue inquadrature. Non ha il supporto della musica che spesso crea il film, crea la suspense e le emozioni. I Coen hanno scelto di eliminarla e il risultato è un film che ha una regia da manuale. Tutto è creato solo attraverso l'immagine.
Il confronto che mi viene in mente è con La Sconosciuta di Tornatore. Ovviamente sono due film completamente diversi ma il ruolo della musica nel film italiano è centrale. In questo film la colonna sonora di Morricone è il film. La regia di Tornatore segue le note della musica, si accompagna con le note per costruire gli effettivi emotivi e di suspense del film. Lo stesso regista ha ammesso che la colonna sonora accomppagnava le riprese. Due modi di vedere un film, due modi di concepire la regia e due modi di utilizzare o non utilizzare la musica.
Tornando al film dei Coen l'assenza di musica mi ha portato ad un distacco maggiore. C'era attenzione nei confronti della storia, c'era coinvolgimento ma è come se il giudizio fosse ad un livello non emotivo ma cerebrale. Questa sensazione l'ho provata sempre guardando i film dei fratelli Coen. In Non è un paese per vecchi togliendo la musica viene tolta, a mio parere, l'ultimo legame con l'emozione. L'astrazione è completata. Il risultato è duro. La violenza è mitigata a tratti dall'ironia ma rimane una storia dove l'uomo è sempre comunque una vittima.
E' un film americano. E' un film dal sapore western, dove gli uomini sono sulla frontiera, sul confine non solo geografico. Alle prese con scelte che possono da un momento all'altro cambiare la vita. Dove può essere il caso o la fortuna a decidere i destini. Gli uomini sono soli al mondo e la vecchiaia con le sue riflessioni sull'esistenza diventa un ostacolo per la sopravvivenza quindi meglio andare in pensione piuttosto che continuare a lottare. L'America non è un paese per quei vecchi che si pongono domande e che vorrebbero continuare a lottare, non è un paese per loro perché in questo mondo western esiste solo la violenza e la ricerca della sopravvivenza.

venerdì 22 febbraio 2008

Laico, se lo conosci lo eviti, se non lo conosci è meglio

Un video per chiudere la settimana con una grande Paola Cortellesi.


mercoledì 20 febbraio 2008

Gregory Crewdson al Palazzo delle Esposizioni

Si entra nell'allestimento della mostra fotografica di Gregory Crewdson al Palazzo delle Esposizioni e l'immersione nelle foto è immediata. Mi è piaciuto l'allestimento di questa mostra perché la luce permette di godersi in pieno le foto senza strani riflessi e perché lo spazio delle foto è arioso ma avvolgente.
Il primo pensiero vedendo le fotografia di Gregory Crewdson è Lynch non c'è dubbio. C'è quel sapore surreale e macabro, c'è quel senso di sospensione e una certa angoscia dietro l'angolo. Crewdson è un fotografo "cinematografico" e questo viene sottolineato fin dalle note che accompagnano la mostra. Un fotografo che mette in scene le sue foto, costruite e sceneggiate ma non per questo meno d'impatto, meno coinvolgenti. Questo mettere in scena, tipico anche di altri fotografi americani come Cindy Sherman, è una costruzione che svela gli stereotipi, li rende evidenti e li rende amari. Una messa in scena che rende ancora più immobili le foto, istantanee che fissano un momento come se dovesse durare un'eternità, dopotutto lo stereotipo è anche questo.
Il gioco viene reso ancora più evidente nella serie di foto Dream House con le stelle del cinema. Dalle note che accompagnano la sezione si legge infatti: "La presenza di queste star trasforma le falsità delle scene di Crewdson nell'autenticità del cinema, che è a sua volta opera d'arte artificiosamente costruita".



Le persone sono abbandonate negli scenari di Crewdson, sono perse. Hanno perso i loro riferimenti. Rimangono solo alcune tracce di questa umanità disperata, chiusi nelle loro auto, circondati da psicofarmaci e macchie della loro vergogna. Non sono moraliste queste foto ma sono critiche nei confronti della società americana. Sono immagini ricche di preoccupazione per l'umanità che viene rappresentata. Sono spietate. E' un'America al crepuscolo. La luce del giorno è sempre poco presente e se c'è è filtrata dalle finestre o dal bianco e nero della pellicola.


Gregory Crewdson è un'artista americano e si vede. Sembra che ci sia poco di europeo. C'è il tradimento del sogno americano. Case come prigioni, luoghi surreali ricchi di risentimento e rimorsi. La normalità artificiale è svelata.
Le foto di questa mostra mi hanno pensare anche ad Edward Hopper. In Hopper l'elemento dominante della scena è molto spesso l'attesa. Donne e uomini in attesa che qualcosa succeda, speranza verso il futuro. Nelle fotografie di Crewdson invece c'è qualcosa di post, qualcosa è accaduto prima dell'istantanea. E' come se tra le istantanee di Hopper e Crewdson fosse avvenuto qualcosa, qualcosa che ha avuto effetti devastani sull'umanità. L'aspetto surreale è che c'è calma sia prima che dopo. La tensione è assente, come la speranza.

lunedì 18 febbraio 2008

Children of Men


Il mondo è sterile, è allo sbando. La violenza e l'odio razziale hanno preso il sopravvento. Gli immigrati clandestini vengono trattati come bestie. L'ultimo bambino nato risale a 18 anni prima. Non ci sono più bambini, non ci sono più parchi giochi e asili. Un ex attivista politico si trova a proteggere la vita dell'unica donna incinta.

Il film è tratto da un romanzo di P.D. James ed è ha una storia affascinante che si confronta con il futuro poco lontano dell'anno 2027, con un immaginario che ha poco di fantascienza e fantapolitica perché sembra tutto così vicino, così prossimo ai nostri occhi. L'aspetto più interessante del film è questo, ritrarre un futuro prossimo che fa paura, un futuro dove tutto è alla deriva, un mondo agghiacciante. Gli immigrati nelle gabbie, gli scontri di periferia e il solito strapotere dei media. Un futuro/presente insomma.

Il regista Alfonso Cuaron ritrae il tutto senza cercare troppo il coinvolgimento emotivo, senza approfondire e realizzare un'analisi sociopolitica che poteva essere interessante. La narrazione è discontinua e nonostante non manchino dei frammenti meglio riusciti, il tutto è slegato. Il film è godibile ma mi ha dato l'idea di essere superficiale, come se fosse scritto con i freni tirati.

Un materiale così interessante poteva in mani più coraggiose diventare un film di un certo livello, un film amaro, cinico e doloroso. Quando un film non piace del tutto si cerca sempre di capire quale poteva essere il modo per renderlo migliore. In questo caso direi che si potevano seguire due strade: quella del cinismo, ritrarre quindi in modo freddo e distaccato un mondo alla deriva e quella dell'emozione, cercando un coinvolgimento maggiore dello spettatore nella storia.

martedì 12 febbraio 2008

Into the Wild di Sean Penn


Natura accogliente e ostile. Sentimenti sinceri e artificiali. Parole scritte e narrate. Into the Wild è un film che parla di emozioni e che riesce a comunicarle allo spettatore in modo straordinario. E' un film dolce e duro, un racconto di libertà e amore.

Il protagonista è alla ricerca di se stesso e intraprende in modo ostinato un viaggio per trovarsi e per misurarsi. Una trama di questo tipo potrebbe sembrare banale ma non lo è, perché nonostante l'avventura di Alex/Chris sia raccontata in modo coinvolgente ne riusciamo comunque a cogliere i difetti, le incertezze. Riusciamo a comprendere che in fondo parte delle motivazioni che spingono il protagonista a partire sono dovute al rancore, sono dovute alla mancanza di sentimenti reali. Alex/Chris ha paura dei sentimenti dopotutto e li sottovaluta. Crede probabilmente troppo in se stesso e nelle sue capacità e alla fine si rende conto di quanto sia importante la presenza delle persone. Il racconto alla fine diventa un racconto sulla scoperta dei sentimenti dove il protagonista scopre di saper condividere la propria vita e la propria soggettività con le persone più diverse. Sono dolcissimi gli adii in questo film, adii pieni di emozione ma con poche lacrime, pochi abbracci.

Into the Wild è un film che attraverso la riscoperta della natura ci racconta la riscoperta delle persone e l'importanza di saperle ascoltare, apprezzare e amare. Una strada difficile da seguire perché siamo distratti e diffidenti. La natura e le terre selvagge sono solo un pretesto, un racconto che vuole dire altro sulla nostra contemporaneità. In modo discreto e metaforico questo film scuote moltissimo.

sabato 9 febbraio 2008

"The Black Saint and The Sinner Lady"


Avevo deciso di acquistare un cd jazz. Vado da Feltrinelli armato di una short list: Eric Dolphy Out of Lunch, Wayne Shorter Juju, Charles Mingus The Black Saint and The Sinner Lady. La scelta si era ristretta a questi tre nomi e titoli perché volevo sondare ancora novità nel panorama classico del Jazz. Di Dolphy mi affascina il suo polistrumentismo e il fatto che troppo spesso ho incontrato il suo nome nelle mie ricerche e letture. Di Shorter ovviamente è il suo sax, troppo legato a Coltrane per passare inosservato. Di Mingus mi incuriosice la sua personalità e il fatto che ogni suo frammento di musica che ho ascoltato mi ha rapito. Come al solito il mio personale "studio" del Jazz è guidato da strane sensazioni e impressioni. E' un puzzle guidato dalla mancanza di conoscenza teorica ma ricco della volontà di assaporare in pieno la musica.
Vorrei ascoltare tutti e 3 ma purtroppo il primo non c'è e decido di ascoltare dei frammenti degli altri 2. Forse è contrario allo spirito dell'ascoltare attento ma ascolto la loro musica sulle cuffie del negozio e mentre Shorter è coinvolgente Mingus mi rapisce e non mi fa avere dubbi.
A casa inizio ad ascoltare il disco e vengo travolto. La musica, che ancora suona nella mie orecchie, è qualcosa di straordinario. Parte dalla tradizione delle Big Band ma va oltre ed è come se racchiudesse tutto. Ogni volta vengo stupito dalla richezza della musica, di quanto possa aver detto molto così tanto tempo fa, di come le radici e le tradizioni siano rielaborate continuamente e siano dei punti di partenza per viaggi verso il futuro. L'energia dei suoni è qualcosa di indescrivibile a parole. E' amore a primo ascolto. Come al solito mi ci vorranno diversi ascolti per assaporarlo tutto e in pieno poiché la musica è ricca, è piena, in alcuni momenti è satura di suoni.
Bene sono soddisfatto, il mio istinto da inesperto non mi ha tradito, di nuovo aggiungerei. A questo punto devo cominciare a pensare che forse è giusto così. Segui l'istinto e costruisci il tuo puzzle musicale e vedrai che ogni momento di ascolto sarà soddisfacente.

"Touch my beloved's thought while her world's affluence crumbles at my feet." Dalla copertina del disco.

martedì 5 febbraio 2008

Herbert List: Lo sguardo sulla bellezza

La pioggia, il raffreddore e la cattiva illuminazione della mostra non mi hanno permesso di godermi al meglio la mostra di Herbert List ai musei capitolini ma nonostante questo sono diversi gli spunti che ne ho tratto.
L'aspetto che più mi è piaciuto della mostra, un po' avara di fotografie, è stata la possibilità di avere una visione generale della vita fotografica di Herbert List. L'impressione che mi ha dato è stata quella di un fotografo dalle facili infatuazioni. Dalla fotografia surrealista, alla foto che ricorda il patinato pubblicitario. Dal reportage neoralista ai ritratti.
Sono affascinanti i suoi giochi surrealisti, dove porta in fotografia le suggestioni di De Chirico e Magritte. Dove la luce gioca con gli oggetti e le ombre costruiscono il mistero. Sono decisamente poco affascinanti ai miei occhi le fotografie del periodo di Capri e quelle marittime in genere. Sono interessanti perché sembra di vedere alcune foto pubblicitarie contemporanee ma appunto per questo eccessivamente costruite con pose e luci un po' artificiali. Certo sono all'avanguardia per l'epoca.
Le foto più interessanti sono i ritratti che come sempre si misurano con le personalità raffigurate: Pasolini, Marlene Dietrich, Benedetto Croce e la fantastica Anna Magnani, ritratta in modo da far emergere in pieno il suo volto deciso.
Un'altra serie di foto interessanti sono quelle più neorealiste che ritraggono Roma e Napoli. Che svelano le persone e la loro quotidianità. Si parla quindi del reportage più puro non a caso corrispondente agli anni dell'incontro di Robert Capa e della Magnum.
Per un romano le foto di Trastevere sono imperdibili, com'è imperdibile il reportage sulla Stazione Termini vero cuore romano. Un abitante silenzioso della città, dove anime e persone ogni giorno s'incontrano e si scontrano. Bellissime le foto degli adii e degli incontri. Quei fuggevoli incontri tra sconosciuti che si sfiorano per un solo attimo nella loro vita ma che condivono comunque un istante.
Una mostra che merita di essere vista ma che non mi ha soddisfatto in pieno. Le foto infatti a volte si perdono in un'artificiosità che non ha soddisfatto il mio sguardo.

lunedì 4 febbraio 2008

American Gangster di Ridley Scott

American Gangster è un film piacevole da vedere. La storia scorre liscia, senza troppi intoppi. La lunghezza non si avverte. L'unico problema del film è che scivola troppo via e lascia poco. Non entusiasma, non emoziona. Scorre e non rimane.
La storia è raccontata in modo abbastanza convenzionale. E' il racconto parallelo del gangster che si fa strada nella criminalità di New York e del poliziotto la cui "eccessiva" onestà irrita anche i suoi stessi colleghi tutti corrotti. La narrazione parallela delle due vite è decisamente male assortita perché se la storia del gangster Denzel Washington è interessante, quella del poliziotto Russel Crowe è ricca di luoghi comuni, di banalità e di cose già viste. Il personsaggio del poliziotto è privo di appeal, privo di spessore, la sua storia è la parte più debole del film.
Non ci sono interessanti soluzioni di regia e messa in scena in questo film di Ridley Scott. Non ci sono guizzi. C'è una buona gestione ma niente di più. Manca la personalità in questo film e non posso fare a meno di pensare a Scorsese e a Spike Lee. Mi aspettavo qualcosa di più da Ridley Scott devo dirlo onestamente, ma comincio a pensare che ormai la qualità di questo regista si limita a quei pochi risultati felici della sua carriera e non regala più molto di nuovo allo spettatore.

lunedì 28 gennaio 2008

I miei film del week end: dal dvd al cinema

Nel week end ho visto due film ed entrambi non mi hanno convinto. Entrambi accomunati da una lunghezza eccessiva, perché se pensi che il film sia troppo lungo è un film probabilmente poco riuscito.

The Good Shepherd
Interpretato da Matt Damon e girato da Roberto De Niro è la storia di un agente della Cia agli inizi della storia del servizio d'intelligence americana. Il film devo dire che non mi ha entusiasmato nonostante la buona interpretazione di Matt Damon e nonostante il personaggio da lui interpretato sia riuscito. E' molto interessante la figura di Edward Wilson, un burocrate del controspionaggio. La sua storia è raccontata senza sparatorie, quasi senza armi. La sua normale attività è così banale ma così decisiva.
La storia però è troppo lunga e ricca di dettagli non sempre chiari. Il racconto non riesce a tenere unite le fila del discorso. La carne al fuoco e troppa e la sintesi è minima. Alcune soluzioni narrative risultano un po' banali. La messa in scena e la regia sono sobrie ma non riescono a colpire nel segno, alcune volte il tutto sembra già visto.



Cous Cous
C'è il tentativo di riscatto di una famiglia arabo-francese, in particolare del suo capofamiglia. C'è un panorama dei personaggi ricco di facce interessanti, su tutte la brava Hafsia Herzi. La storia del film non è male anche se non è molto originale. Il tentativo è quello di proporre senza troppi giudizi uno spaccato sociale molto attuale attraverso la storia quotidiana di questa famiglia.
Il film è ricco di lunghi dialoghi. Il ritmo è il tempo narrativo risentono di una messa in scena che non riesce a realizzare una sintesi. I dialoghi e i monologhi sono troppo lunghi e insistiti. In alcuni casi questa prolissità ha un senso all'interno della narrazione (come nel pranzo domenicale), in altri casi è un po' irritante.
Mentre vedevo il film pensavo a Ken Loach e al neorealismo. Una storia con poca musica e con facce che sembrano prese dalla strada. I temi sociali trattati in modo molto diretto e didascalico. Però onestamente non si centra l'obiettivo perché manca la freschezza e l'emozione del neorealismo e manca la struttura di Loach. Questo film si perde in una struttura troppo aperta ed eccessivamente libera. Una serie di quadri e di dialoghi che sono legati tra loro da una sceneggiatura debole.

lunedì 21 gennaio 2008

Ugo Mulas. La scena dell'arte

Ugo Mulas al Maxxi. Scoperto per caso ma ti affascina e rapisce all'istante. E' bello l'allestimento della mostra e sono numerose le fotografie che si ha il piacere di vedere. Si attraversano le linee luminose che partendo dalla parete proseguono sul pavimento e si cammina nel tempo, nella storia dell'arte che parte dagli anni 50 fino agli 70. Si osservano i mutamenti dell'arte di quegli anni attraverso la Biennale di Venezia. Conosco poco dell'arte italiana di quel periodo ma è affascinante vedere gli artisti all'opera che all'allestiscono le loro sale. Gli artisti che vivono il tempo libero tra loro. Si respirano gli artisti di quel periodo attraverso le foto di Ugo Mulas.
Sono fotografie che entrano nella scena. Sono invadenti con discrezione. Invadono gli spazi degli artisti ma è come se non ci fosse l'occhio della fotografia a guardarli.
L'altra grande sezione della mostra è dedicata ai ritratti. Ritratti di collezionisti (bellissimi ed emozionanti i ritratti dedicati a Peggy Guggenheim), critici d'arte (come il fantastico ritratto "segnaletico" di Achille Bonito Oliva), artisti stranieri e italiani. La forza dei ritratti di Mulas sta nel cogliere l'artista nel suo ambiente. E' la composizione di questi ritratti che colpisce, sembra comunicare direttamente lo spirito dell'artista, il suo essere. Come con Fontana tagliato come le sue tele o con De Chirico, austero e distante. Sono profili, biografie e non semplici ritratti. E' ovvio poi che lo spessore dei personaggi fotografati è notevole: Schifano, Fontana, Giacometti, Morandi, Mimmo Rotella, Piero Manzoni.
Ugo Mulas è un fotografo che sembra essere vissuto nell'arte, dell'arte e nelle opere d'arte. Coglie gli attimi della creazione e della riflessione sull'arte. Bellissima la foto che ritrae Man Ray che osserva con attenzione un'opera d'arte contemporanea durante una mostra. Quasi emozionante la sequenza fotografica che ritrae Lucio Fontana nell'atto di tagliare la tela.
E' una piacevole sorpresa questa mostra. E' un dispiacere non conoscere a fondo quest'arte italiana, così ricca di personalità affascinanti, di certo approfondirò la conoscenza. Si nota scorrendo le foto della Biennale che probabilmente l'arte italiana si è un po' persa. La conosco poco ma sembra che si siano perse quelle personalità così affascinanti.

domenica 20 gennaio 2008

La promessa dell'assassino di David Cronenberg

La promessa dell'assassino (Eastern Promises) è l'ultimo film di David Cronenberg e narra la storia di Anna, un'ostetrica alla ricerca dei parenti di una bimba nata da una ragazza russa che muore durante il parto. La ricerca di Anna, però, si scontra con la mafia russa che governa una parte della criminalità nella Londra contemporanea.
Basta questo per riassumere la trama di Eastern Promises, uno dei più belli film di Cronenberg. Il film è doloroso, duro, violento ma ricco di emozioni nonostante il regista non ne faccia uso. Cronenberg, infatti, non vuole commuovere il pubblico, non ha l'obiettivo di essere struggente nel racconto di una storia triste e piena di violenza. In questo a mio parere sta gran parte della bellezza di questo film.
Il suo racconto è al di sopra del giudizio morale. I protagonisti vivono al di fuori della morale e seguono i loro percorsi personali a prescindere dalla legge e dai legami di parentela. Il fine in questi casi giustifica ogni mezzo. C'è chi vuole il potere, chi vuole vivere senza responsabilità e chi vuole la maternità. Naomi Watts e Vincent Cassel si calano bene nei loro personaggi ma su tutti emerge Viggo Mortensen. Se in History of Violence mi aveva stupito la sua capacità di comunicare il personaggio, qui supera se stesso. La figura che costruisce è glaciale, fredda e misurata in ogni sua azione. Quando appare sulla scena l'atmosfera cambia. E' perfetto questo personaggio dalla psicologia complessa che non fa mai trasparire i suoi reali intenti e sentimenti. Fa paura il suo sguardo.
E' affascinante e inquietante allo stesso tempo il mondo che Cronenberg ci mostra. Il ritratto della mafia russa è credibile e agghiacciante. Una Londra durante le festività natalizie dove le luci degli addobbi si vedono raramente, dove sono il buio e i toni scuri a dominare la scena. E' noir questo film di Cronenberg perché i personaggi si muovono in un territorio oscuro e non si sa se in fondo hanno qualche possibilità di scelta nella vita.
Il racconto è perfetto. La sceneggiatura non ha eccessi, i dialoghi sono essenziali e tutto è al suo posto. Il film è stilisticamente compatto, arriva con durezza al punto. C'è la scena della lotta nel bagno che è violenta e terrificante. Una violenza che fa paura quanto è reale.

venerdì 18 gennaio 2008

Restauro clandestino


Navigando su artsblog ho scoperto gli Untergunther, un collettivo di architetti, storici dell’arte e restauratori che hanno una particolarità: sono clandestini. Si definiscono esploratori urbani e s'introducono clandestinamente nei monumenti parigini per restaurarli o restaurare oggetti d'arte. Agiscono al di fuori della legge e infatti sono stati processati ma assolti con l'invito a non ripetere le loro azioni "criminali".

Il loro obiettivo sembra essere quello di restituire alla cultura parigina e francese oggetti e opere d'arte dimenticate. Hanno restaurato un orologio modello Wagner del 1850 e poi lo hanno restituito funzionante all'amministratore del Pantheon che li ha denunciati perché si sono introdotti nel Pantheon. Il gruppo è stato assolto.

Sono un gruppo clandestino che s'introduce dove l'accesso è per i soli addetti ai lavori, si muove di notte e si muovono in piccolo gruppi che cambiano ogni volta. Ci sono poche altre notizie su di loro. Ho trovato un articolo che parla di loro sulla Gazzetta del Mezzogiorno e molti blog li citano e ne parlano.

Ne ho voluto parlare anche io perché apprezzo queste cose. Mi piace l'arte e mi piace che venga preservata a prescindere da logiche politiche e di mercato. E' venerdì e non voglio pensare male quindi ben vengano queste azioni clandestine se portano qualcosa di buono alla società, sopratutto perché mi sembra che ce ne sia veramente bisogno.

mercoledì 16 gennaio 2008

Dexter


"Non puoi essere un killer e un eroe"

Ho finito ieri sera di vedere la prima stagione di Dexter, una serie tv che dopo un inizio abbastanza in sordina alla fine mi ha completamente rapito e affascinato. La serie è chiaramente confezionata in modo eccellente. Ottima fotografia, bravi gli interpreti. Ottima sceneggiatura. Dialoghi non banali, brillanti e ricchi di humour nero. Una serie assolutamente da vedere.
Il protagonista della serie è Dexter, un ematologo forense che è anche un serial killer che uccide per placare la sua pulsione da omicida. Lui ha il desiderio di uccidere ma cerca un modo per farlo a fin di bene. Non è un vendicatore, la sua psicologia è complessa. Una psicologia che è approfondita come raramente accade nelle serie tv. Un personaggio affascinante e controverso interpretato splendidamente da Michael C. Hall.

Dexter è intelligente e brillante e non riesci ad odiarlo. Lui uccide e lo fa seguendo un codice, è freddo e metodico. Un omicida educato ad incalanare la sua violenza. Dexter è privo di sentimenti ma cerca nonostante questo di costruirsi una maschera di normalità, non perché ne abbia bisogno ma per non destare sospetti, per vivere tranquillamente la quotidianità.

Il sangue è ovviamente il filo conduttore della serie. Il sangue è inteso non solo come fluido del corpo ma anche come legame. Nella prima stagione, infatti, si può individuare un tema ricorrente: il conflitto tra legame di sangue e legame affettivo. Il primo è ovviamente un legame di parentela, il secondo è inteso come un legame costruito con persone che non sono parenti. Il sangue è anche il filo conduttore dell'indagine che viene svolta durante tutta la prima stagione, che vede la ricerca di un serial killer che dissangua le sue vittime. Il sangue è quindi la traccia che permette a Dexter di trovare l'omicida ma è anche la traccia che gli permette di trovare se stesso.

La serie è tratta dal romanzo La mano sinistra di Dio di Jeff Lindsay. Un romanzo che ho aggiunto alla lista dei libri da leggere. Grazie al sito dexter.subsfactory.it dedicato alla serie ho scoperto delle interessanti note sul titolo originale del romanzo Darkly Dreaming Dexter. La parola dexter deriva infatti dal latino e significa “destro”. In inglese, il termine corrispondente è right che vuol dire anche giusto. In origine il romanzo di Darkly Dreaming Dexter doveva intitolarsi The Right Hand of God (La mano destra-giusta di Dio).

venerdì 11 gennaio 2008

Re-Vision: Miami Vice di Michael Mann

A Miami non c'è mai il sole. La notte è buia e piena di lampi ma la pioggia tarda ad arrivare. Miami Vice è un film cupo, malinconico e con poche vie di scampo. I protagonisti hanno scelto una strada nella vita e la percorrono fino in fondo. Forse hanno dei dubbi che però non creano in loro drammi esistenziali. Sono poliziotti, sono infiltrati è questa la loro vita e ne accettano tutte le conseguenze. Sanno fare il loro lavoro e servono solo pochi minuti al film per far capire di che pasta sono fatti i due poliziotti protagonisti. La sequenza d'apertura ci immerge subito nella storia, senza preamboli, siamo già nel bel mezzo dell'azione. Ci sono pochi giri di parole in questo film di Michael Mann, una storia che va dritta al punto e non si perde in inutili racconti.
Una delle cose che mi ha colpito del film è il rapporto tra i due protagonisti. C'è un'intesa perfetta tra loro ma non sono compiaciuti. S'intendono alla perfezione e non hanno bisogno di nulla per farlo capire. E' sufficente uno sguardo per capire dove andare e come agire. Non hanno dubbi sulle azioni dell'altro, qualsiasi esse siano. Il racconto del film ci fa capire che c'è un lungo trascorso tra i due ma non appesantisce la storia raccontandoci quanto sono legati, quante ne hanno passate insieme.
Miami Vice è un film d'azione. Un film d'azione di Michael Mann però è sempre sobrio, non esagera e ti tiene incollato alla storia. L'intreccio è godibile e la storia scorre liscia, tra il sole amaro del sudamerica e la luce cupa e malinconica di Miami. Un film notevole, decisamente. Duro e amaro. Cercherò di recuperare la serie tv per fare dei paragoni ma penso che da allora il mondo e l'estetica sono cambiati.

mercoledì 9 gennaio 2008

L'immaginario dal vero

Henri Cartier-Bresson è abile anche con le parole, riesce a descrivere con un linguaggio semplice, asciutto quello che ha vissuto, quello che ha fotografato, i suoi viaggi, le persone incontrate.
Le prime pagine de L'immaginario dal vero sono dedicate alla sua personale visione del fotografare, un atto che per lui sembra essere spontaneo senza troppi intellettualismi...fotografare è un grido, una liberazione. Non si tratta di affermare la propria originalità; è un modo di vivere. E lui l'ha vissuto in pieno anche se ha smesso presto di fotografare oppure ha cominciato troppo presto. Leggendo la sua biografia mi sono intimidito, quante cose in quanti pochi anni. E' stato anche un disegnatore. E' bellissimo quello che dice del disegno in confronto alla fotografia...La fotografia è un'azione immediata, il disegno una meditazione.
Poi i racconti di Mosca, della Cina, di Cuba. Ma la parte più bella sono i raccontu su Alberto Giacometti e André Breton. Il primo un vero amico, lo descrive con parole tenere e piene di stima. Lo considera uno degli uomini più intelligenti che ha conosciuto. Quando parla invece del Re Sole, così chiama Breton, c'è una sorta di soggezione. Ne parla come un bambino parla del suo maestro di scuola, un misto di ammirazione e distanza.
L'immaginario dal vero è un libro da leggere, da gustare, ho rallentato il suo tempo di lettura per non perderlo troppo presto. Guardare le foto di Cartier-Bresson a me personalmente da una pace immensa, sono sospese nel tempo. Sono così equilibrate e ricche di sentimento. Leggere le sue parole è come vedere le sue fotografie. E' stare in pace e in equilibrio. Cartier-Bresson ti permette di recuperare il contatto con l'immagine che sia scritta o visualizzata.