mercoledì 20 febbraio 2008

Gregory Crewdson al Palazzo delle Esposizioni

Si entra nell'allestimento della mostra fotografica di Gregory Crewdson al Palazzo delle Esposizioni e l'immersione nelle foto è immediata. Mi è piaciuto l'allestimento di questa mostra perché la luce permette di godersi in pieno le foto senza strani riflessi e perché lo spazio delle foto è arioso ma avvolgente.
Il primo pensiero vedendo le fotografia di Gregory Crewdson è Lynch non c'è dubbio. C'è quel sapore surreale e macabro, c'è quel senso di sospensione e una certa angoscia dietro l'angolo. Crewdson è un fotografo "cinematografico" e questo viene sottolineato fin dalle note che accompagnano la mostra. Un fotografo che mette in scene le sue foto, costruite e sceneggiate ma non per questo meno d'impatto, meno coinvolgenti. Questo mettere in scena, tipico anche di altri fotografi americani come Cindy Sherman, è una costruzione che svela gli stereotipi, li rende evidenti e li rende amari. Una messa in scena che rende ancora più immobili le foto, istantanee che fissano un momento come se dovesse durare un'eternità, dopotutto lo stereotipo è anche questo.
Il gioco viene reso ancora più evidente nella serie di foto Dream House con le stelle del cinema. Dalle note che accompagnano la sezione si legge infatti: "La presenza di queste star trasforma le falsità delle scene di Crewdson nell'autenticità del cinema, che è a sua volta opera d'arte artificiosamente costruita".



Le persone sono abbandonate negli scenari di Crewdson, sono perse. Hanno perso i loro riferimenti. Rimangono solo alcune tracce di questa umanità disperata, chiusi nelle loro auto, circondati da psicofarmaci e macchie della loro vergogna. Non sono moraliste queste foto ma sono critiche nei confronti della società americana. Sono immagini ricche di preoccupazione per l'umanità che viene rappresentata. Sono spietate. E' un'America al crepuscolo. La luce del giorno è sempre poco presente e se c'è è filtrata dalle finestre o dal bianco e nero della pellicola.


Gregory Crewdson è un'artista americano e si vede. Sembra che ci sia poco di europeo. C'è il tradimento del sogno americano. Case come prigioni, luoghi surreali ricchi di risentimento e rimorsi. La normalità artificiale è svelata.
Le foto di questa mostra mi hanno pensare anche ad Edward Hopper. In Hopper l'elemento dominante della scena è molto spesso l'attesa. Donne e uomini in attesa che qualcosa succeda, speranza verso il futuro. Nelle fotografie di Crewdson invece c'è qualcosa di post, qualcosa è accaduto prima dell'istantanea. E' come se tra le istantanee di Hopper e Crewdson fosse avvenuto qualcosa, qualcosa che ha avuto effetti devastani sull'umanità. L'aspetto surreale è che c'è calma sia prima che dopo. La tensione è assente, come la speranza.

1 commenti:

francesca ha detto...

concordo con la tua lettura, anche se ammetto che le foto di cindy sherman sono più nelle mie corde (http://www.cindysherman.com/).
Attesa dicevi, sì... ma non concordo con l'assenza di tensione. Credo che gli sgurdi fissi, le posture quasi sempre di tre quarti, esprimano più tensione di quanto si possa pensare. Anche l'uso della luce (gli interni delle automobili e le case hanno spesso la stessa luce) crea, secondo me una forte tensione.
baci
fra